domenica 8 aprile 2012

Perigeo - La valle dei templi


La RCA mi chiese di fare le foto per la copertina del disco del Perigeo, un gruppo che conoscevo di fama, si collocavano tra gli “Area” i “Napoli Centrale” ed i trasgressivi  Rava e Urbani. Fra loro si contavano musicisti che sarebbero diventati grandi nel mondo del jazz come il pianista D’Andrea, il sassofonista Fasoli, il bassista e leader del gruppo De Tommaso. Dovevo raggiungerli ad Agrigento dove partecipavano ad un festival. Non amavo l’aereo ho sempre preferito il treno ma non c’erano altre possibilità, avevano organizzato una spedizione di addetti stampa e critici musicali, ma io non conoscevo nessuno. Era la prima volta che andavo in Sicilia, l’aereo atterrò a Punta Raisi, tre o quattro macchine ci aspettavano per condurci attraverso mezza Sicilia. Viaggiai in compagnia dei due decani della critica musicale Franco Fayenz e Arrigo Polillo, erano simpatici anche se di quello che dicevano ne capivo la metà, io guardava la natura scorrere sui finestrini i colori e i paesaggi erano da mozza fiato. Arrivammo in un albergo nuovissimo lontano dalla città costruito a fianco di un cementificio. Con i componenti del gruppo che erano arrivati il giorno prima, decidemmo di fare un sopralluogo dove si sarebbe fatto lo spettacolo. La Valle dei Templi, era una meraviglia impossibile da descrivere, improvviso scoppiò un temporale violentissimo durò poco ma lasciò la natura stralunata, la temperatura era scesa di botto, la terra rosso fuoco brillava ed il cielo intarsiato dalle nuvole lasciava passare raggi di sole che sembravano lame di luce, non persi tempo e iniziai a scattare, in lontananza si poteva vedere la linea dell’orizzonte squillare sul mare, mentre sul lato opposto la città, con la prepotenza di un cemento disordinato e violento che rattristava quei monumenti silenziosi ed eterni.
Decisero che il festival si sarebbe spostato nel teatro della città. La sera ci fu il concerto. Era strano vedere intere famiglie con nonne nonni bambini piccoli accalcarsi dentro a quel teatro per ascoltare musicisti lanciare i loro suoni sincopati e complessi, non c’era nessuna sintonia tra il pubblico e gli artisti, erano lì perché non c’era altro da fare. I musicisti si susseguivano in una girandola che distraeva l’attenzione annoiata del pubblico. Finalmente lo spettacolo finì e tornammo tutti all’albergo. Allora mi resi conto che quella costruzione era assolutamente insensata, confinante con un cementificio aveva l’aria di un’isola nel deserto, il contrasto era indubbiamente la caratteristica di quella terra, un contrasto inquietante senza spiegazioni. Fu invece piacevole parlare con quei musicisti con Franco Fayenz di cui divenni amico, sentirli ricordare i cento festival a cui avevano partecipato gli aneddoti divertenti. Oltre a Franco conobbi Romano Mussolini e il clarinettista che suonava con lui un americano alto pelato con il pizzetto. Scot così si chiamava era un fiume in piena. Rimasi in piedi fino all’alba parlando con i componenti del gruppo.

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