venerdì 9 maggio 2014

Il giocatore di dama




Il giocatore di dama

Stava seduto dietro il rosso trasparente del calice di vino, il vecchio giocatore di dama. Tra le dita snocciolava le pedine nere dell’avversario, mentre con il gomito prendeva d’assedio la scacchiera.
Fumava all’angolo sinistro del labbro, un toscano spento già da tempo e mentre elencava le prodezze del passato, cercava ostinatamente d’irritare il dirimpettaio che testardamente restava muto. Il vecchio però incurante arrogandosi il diritto dell'esperienza, continuava a parlare lento e inesorabile.
Alle spalle la gente silenziosa, fissava il tavolo da gioco cercando tra le venature della scacchiera una risposta alle loro curiosità.
A volte le pedine acquistavano un presenza tale che ai contendenti risultavano così pesanti da rendere difficoltosa ogni mossa. Le dita, schiacciate sui dischetti, vi rimanevano incollate non volendosene liberare, quando poi si decidevano, con lentezza spossante ritornavano ad appoggiarsi al tavolo.
La partita durava già da tempo e le continue interruzioni la rendevano ancora più estenuante. Nessuno dei due sembrava avesse la meglio, ma più che il confronto la noia pareva vincesse.
Il vecchio giocatore aveva però capito che prima o poi sarebbe rimasto in minoranza, e la cosa lo incupiva, non voleva in alcun modo scendere dal trono che da sempre occupava lì alla taverna, così lasciò la lingua sciolta a rapinare al vento le scuse più impensabili sulla inutilità di quel confronto. E il giovane avversario, ignaro della sua supremazia, si spremeva il pensiero per cercarvi un’intuizione utile a raccogliere quell'eredità che il maestro suo malgrado stava cedendo.
Il vino scorreva come le parole che senza senso svolazzavano sopra quel tavolo e il cantiniere addormentato tra i fiaschi e i bicchieri sporchi schierati a rinfusa sul bancone, si attorcigliava la faccia con le palme aperte e ruvide.
Poi d’improvviso la tramontana portò, con il freddo tagliente misto al sapore acre di muschio, un fisarmonicista che spalancata la porta, seguì d’appresso il suo strumento.
La tastiera lucida brillava tra i fumi dell’alcol che avevano scalati i muri sino al soffitto. Con il volto liscio e senza umori il musicista si appoggiò alla cassa armonica, allargò le braccia trascinando con sé il soffietto che spinse i suoni fuori dallo stomaco. Il giocatore di dama si girò di scatto cercando di capire chi aveva distolto il suo pensiero, poi sorridendo con una bestemmia, si alzò e come se fosse stato pizzicato da una tarantola, si mise a saltellare attorno al tavolo; dribblando le panche e le botti incestate, agguantò la moglie dell’oste, che aveva la pancia appoggiata all’angolo del bancone. La donna si fece ingoiare dalla danza e muovendo il suo culo smisurato, lanciava le gonne per ogni dove. Il palchè che da anni subiva ogni atrocità, sobbalzava al taccheggiare dei due.
Rossi come melograni sbucciati, i visi erano tesi a non perdere il ritmo mentre il musico con lo sguardo dritto alla finestra che stava dinanzi, incominciò a fischiare con un sibilo acuto e perforante.
Non c’erano confini per i due girovaghi, così che gli avventori per non interrompere quel veleggiar di baleniere, s’andavano a schiacciarsi contro le pareti. Solo la scacchiera ed il suo dirimpettaio erano rimasti fermi ad osservarsi, riflessivi attendevano che il loro destino si avvicinasse.
E così avvenne che ad avvicinarsi non fu solo il destino, ma anche il culone dell’ostessa che nell’impeto, involontario per lei, volontario per lui, gettasse all’aria la dama, le sue pedine ed il corrucciato possibile, ma non dimostrabile, quindi inverosimile, vincitore.

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