mercoledì 21 marzo 2012

Mia Martini - Danza


La copertina fu il frutto di un lavoro da vero certosino, oggi grazie a photoshop tutto sarebbe molto più semplice. La foto dello stivale con il bicchiere la scattai in studio su fondo nero utilizzando un flash a lunga durata per poter utilizzare i tempi di posa veloci e fermare il flusso del liquido. Una volta scattato riavvolsi il rullino e ci riscattai sopra la visione notturna del grattacielo Pirelli. Gli stivali gialli ce li prestò Giovanna la moglie di Lauzi. Nell’immagine interna invece dietro ad un pannello di polistirolo fa capolino Ivano Fossati che era l’autore del disco mentre in primo piano di spalle c’era l’Alice. Quando feci lo scatto cercai di convincerla a togliersi dal davanti, ma non ci fu niente da fare voleva stare lì e alla fine decisi di includerla nell’immagine.


Mimi era una donna di grande dolcezza con una delle voci più straordinarie che abbia mai sentito. La prima volta che la vidi fu a Venezia, la Ricordi mi aveva invitato al festival che si teneva nella città lagunare. Ricordo la sera in cui arrivammo all’Excelsior fuori ci aspettavano i dirigenti della casa discografica e il portiere dell’Hotel rimase smarrito forse pensava che fossimo dei personaggi noti dei vip e invece eravamo noi con la nostra Appia grigio chiara vecchia di vent’anni. Ricordavo che nel film di Visconti “Morte a Venezia” sulla battigia proprio di fronte all’Excelsior c’erano dei gazebi bianchi che gli ospiti dell’hotel usavano per riposare e guardare il mare così la mattina all’alba detti appuntamento a Mimi e approfittando di quegli stessi gazebi scattai delle foto. Con Mimi nacque un’amicizia silenziosa e garbata. Poi la maldicenza proruppe nella sua vita rovinandole l’esistenza, eppure resisteva ad ogni scossone con quella sua voce inimitabile e quella drammaticità che ne fecero un’artista unica. Non so’ perché ma è stata una delle pochissime donne che ho fotografato.

venerdì 16 marzo 2012

Canzoniere del Lazio - Lassa stà la me creatura


All’inizio della mia professione non avevo lo studio, usavo quello di un amico, Rocco Mancino bravissimo fotografo di moda, avendo avuto una grossa esperienza come stampatore a Londra, in cambio della sua ospitalità gli curavo la camera oscura. Quando conobbi Vanda incominciai a pensare ad uno studio tutto mio, ma occorrevano soldi, e non avendo ancora un portfolio, pensai che la cosa migliore fosse vendere delle foto di ritratti, paesaggi cose che i giornali e le case discografiche avrebbero potuto usare. Passare attraverso le agenzie sarebbe stato oneroso e i tempi si sarebbero dilatati, poi ci piaceva pensare ad un viaggio insieme, per cui ci organizzammo un giro nelle case discografiche e nelle redazioni dei giornali in Germania, in Francia e in Inghilterra. Dovevamo allora usare ogni occasione per arricchire il catalogo. Franco Marabelli aveva una copia di amici danesi di Copenaghen che scendevano a Milano ogni tanto, lei era simpaticissima ed il marito pure. Franco collaborava già da tempo con Fiorucci e mi chiese di fare un manifesto per loro. Montammo un set dove oltre a Vanda e ad un’altra ragazza c’era anche l’amica danese. Vestite da tutu colorati, pieni di paiette e dal trucco eccessivo, era un trio di ballerine che si esercitava alla sbarra, surreali, felliniane, due magrissime e l’altra, la ragazza danese, bella in carne, corpulenta direi, così tanto che trasbordava dal vestito. Alla fine visto il personaggio feci altre foto all’amica di Franco. Qualche mese dopo partimmo con il nostro camioncino per la Germania, arrivammo ad Amburgo per presentarci alla redazione di Stern, mostrammo le diapositive che avevo e l’art director senza indugi scelse l’immagine della danese truccata e vestita da ballerina da circo che teneva in mano un ombrellino aperto. Tornammo il giorno dopo e ci dettero sull’unghia in marchi una cifra esorbitante non ricordo quanto, ma sufficiente ad aprire lo studio. Cosa ne fecero non lo sò credo sia stata uno delle loro copertine. Anni dopo Ricki Gianco mi chiamò per fare un lavoro su un nuovo gruppo che aveva sotto contratto “Il Canzoniere Del Lazio”. Li andai a sentire e mi piacquero veramente tanto, la loro musica era un misto di rock e tamurriata. Ritirai fuori quelle foto che avevo fatto alla donna grossa danese, non c’erano dubbi lei era mamma roma. Utilizzando due proiettori sovrapposi l’immagine della ragazza danese con il dettaglio di un tramonto che avevo fotografato in un viaggio ad Amsterdam e scattai.

martedì 13 marzo 2012

Gian Pieretti - Il vestito rosa del mio amico Piero


Parlare di omosessualità per quei tempi non era cosa semplice, se oggi è considerato ancora un problema negli anni settanta era un tabù. Il  vespasiano, così si chiamavano dal nome del suo inventore l’imperatore Vespasiano, ritratto nella copertina, stava in piazza Vesuvio a Milano e la scritta riportata sulla struttura era vera, la bicicletta appoggiata all’albero invece era di Vanda. Gian Pieretti aveva partecipato ad un festival di Sanremo diventando famoso con un pezzo scritto con Ricki Gianco, “Pietre”. Ricki che conoscevo dall’infanzia, era amico di mio fratello, si incontravano con altri ragazzi in una latteria all’angolo di via Solari, io ero più piccolo e non sempre mi era permesso di stare con loro ma ricordo le stupidaggini che facevano e si dicevano sdraiati sul juke-box ascoltando i primi dischi di rock and roll lisciandosi il ciuffo impomatato di brillantina. In quel periodo volevano imparare a suonare la chitarra tutti quanti e Ricki era diventato un mito per la sua maestria. Ho ancora in mente la scena di lui a casa nostra prendere in mano lo strumento di mio fratello e incominciare un assolo. Per non mostrare i trucchi, per quanto Pietruccio cercasse di sbirciare continuava a girarsi verso il muro. La cosa più divertente però era la rivalità tra le due madri, ne fui testimone in occasione di un Sanremo. Mio fratello preoccupato di avere nostra madre tra i piedi, mi fece avere un permesso da militare. Per tenere a bada la Cesira, mi ritrovai a passare i pomeriggi all’Hotel del Mare a Bordighera tra un nugolo di mamme, quella di Ricki quella di Celentano e altre, le stoccate che si lanciavano sorridendo era quanto di più feroce e sarcastico, soprattutto tra nostra madre e quella di Ricki d’altronde si conoscevano da anni e frequentavano la stessa parrocchia. 
Quando mostrai la foto alla casa discografica, ci fu una lunga discussione, la preoccupazione nasceva dalla convinzione che la scritta sulla struttura l’avessi fatta io, temevano l’intervento delle autorità municipali per aver danneggiato la cosa pubblica, ma in verità non volevano mostrare oltre misura il contenuto del disco, erano convinti e su questo non potevo dargli torto, che molti negozianti si sarebbero rifiutati di metterlo in vetrina. Informandomi con chi viveva nei pressi di quella piazza, scoprii che quello era luogo d’incontri e siccome c’erano state molte retate, una mano ignota aveva espresso il suo dissenso con quella scritta.
Vanda per colorare la bicicletta usò la tempera.

sabato 10 marzo 2012

Lucio Battisti - La canzone del sole


La  sera di una vigilia di Natale di molti anni fa mio fratello Pietruccio tornò a casa accompagnato da un ragazzo dai capelli ricci e con l’accento romano. Era molto simpatico e riuscì a far parlare nostro padre, cosa assai rara anche nelle festività più sacre. Rimase a cena e da quel giorno divenne un grande frequentatore della cucina di nostra madre, devo credere che non fosse la qualità a convincerlo ma la necessità, povera mamma ai fornelli era più che un disastro, una catastrofe, faceva una pizza alta dieci centimetri e gli spaghetti stracotti li spezzava almeno in tre parti per farceli stare nel pentolino dove più che cuocerli li faceva bollire e non voglio infierire oltre. Abitavamo in via Stendhal al 65 a Milano in due stanze più una cucina stretta e angusta ed un bagno dalle stesse dimensioni. Mio fratello ed io stavamo in sala, la sera si aprivano i divani e ci si dormiva se poi qualcuno si ammalava erano problemi. Andavo alle scuole serali e di giorno lavoravo in uno strano ufficio presso la Curia di Milano, il Comitato Nuove Chiese, così si chiamava. Succedeva che durante il fine settimana dovessi studiare stando al tavolo da pranzo, ma accanto c’erano mio fratello e Lucio che chitarre in mano si esercitavano, non parliamo poi quando fulminati da una idea malsana, decisero di dedicarsi ai fiati, Pietruccio al trombone Lucio alla tromba, era un inferno. I rapporti con i fratelli maggiori sono sempre difficili, io già di mio ne avevo due di cui uno il maggiore era assente, ma l’altro c’era e come che c’era, a questi un altro si era aggiunto, tormentandomi sul mio futuro, sulle scelte e su ciò che era giusto, lo facevano per il mio meglio, però a quella età non si è disponibili ad avere altra visione che la propria.
La presenza di Lucio divenne comunque un dato di fatto, in quel periodo non pensavo per nulla ad un futuro creativo, perché mi vedevo ingegnere, c’era però tra i miei compagni un giovane che aspirava a diventare cantante e insistette perché scrivessi i testi delle sue canzoni, mi sembrava bizzarro visto che nei temi non andavo oltre il cinque, non facevo errori grammaticali, ma secondo i miei insegnanti uscivo sempre dall’argomento e mi infilavo in gineprai dai quali faticavo io stesso ad uscire. Finiti gli studi fu il militare, e per uno strano destino mi ritrovai con una macchina fotografica tra le mani. Tornato a casa mi presi un periodo di attesa e mi recai a Londra dove di nuovo la sorte si mise di traverso facendomi incontrare grandi professionisti della fotografia, a questo punto pensai che forse sarebbe stato giusto vedere dove mi avrebbe portato quella strada.
Quando ritornai da Londra, il gruppo di mio fratello i Dik Dik, avevano ormai raggiunto il successo, mentre Lucio, riconosciuto come il più grande autore italiano, stava esplodendo anche come cantante. Mi sistemai nello studio di un fotografo di moda Rocco Mancino, rividi Lucio che mi chiese di fargli delle foto senza tanti impegni, così capitava che mentre lui girava per la Brianza in cerca di una casa per sè la sua compagna ed il nascituro accompagnandolo facessi degli scatti. Lucio che è sempre stato un uomo curioso s’era appassionato alla fotografia così capitava spesso che venisse in studio quando stavo stampando. Avvenne così che un pomeriggio, un venerdì pomeriggio ricevetti una telefonata dall’ufficio grafico della Ricordi, dovevano firmare la copertina che avevo fatto per un 45 giri di mio fratello, non volevo mettere il mio cognome, per non incorrere nelle solite maldicenze sul nepotismo, cercavo uno pseudonimo e qui giunse l’aiuto di Lucio “ Ao ma fatte chiama Caesar Monti”.
Intanto le cose stavano cambiando nel mondo della discografia Mogol Battisti e Sandro Colombini usciti dalla Ricordi creavano la Numero Uno, un’etichetta indipendente distribuita dalla RCA, fu allora che fui chiamato da Franco Daldello per iniziare la collaborazione con la nuova società.
La prima copertina sulla quale lavorai fu quella della Flora Fauna Cemento, subito dopo iniziò il lavoro con Lucio. Ci trovammo una mattina Battisti, la moglie, Mogol e molti artisti della Numero Uno davanti al parco della villa di una cara amica di Giulio in un paese della Brianza, ma non ricordo quale. In questo grande parco creai un’immagine corale, poi tanto per averli, feci alcuni scatti solo di Lucio che camminava verso di noi, mentre scattavo intervenne Giulio che gli mise tra i denti una margherita, trovai la cosa sdolcinata e pacchiana, ma non avendo ancora la padronanza della mia professione non dissi nulla. Rivedendo le immagini scelsi l’immagine più spontanea, era l’ultima a servizio finito mentre Lucio mi stava portando la borsa delle macchine fotografiche. Da allora non permisi più a nessuno di interferire sulle mie scelte. Ripensandoci avvenne un fatto strano per uno con il suo carattere, invitati dalla padrona della villa a sistemarci in un grande salone per rifocillarci, Sara era svenuta per un calo di zuccheri, Lucio prese la chitarra e fece di fronte a noi e ai proprietari del maniero un concertino vero e proprio.


giovedì 8 marzo 2012

Curare con amore


Vorrei conoscere il colore della sapienza e tingermi il viso le mani i piedi gli occhi e la lingua


Un profilo antico, uno sguardo fermo, una forza nel futuro



Solo quando la giornata volgerà al termine tornerò a casa



Quando chino la testa non è  per paura

sabato 3 marzo 2012

Oscar Prudente - Infinite fortune


Riguardando molte di queste immagini, mi rendo conto della impossibilità oggi di costruire una cosa simile nelle condizioni nelle quali agivo. Non chiesi nessuna autorizzazione ne alcun permesso. Arrivai alla stazione centrale, come assistente un nipote acquisito che di fotografia non sapeva nulla ma era un amico carissimo, avevamo una valigia legata con lo spago tanto da sembrare dei veri viaggiatori, anche se un po’ sfigati, allora per accedere ai binari occorreva avere o il biglietto del treno o uno scontrino d’accesso. Con i nostri scontrini entrammo senza porci grandi problemi e facendo finta di essere dei viaggiatori che facevano delle foto ricordo, iniziai a scattare. La luce era straordinaria, i fasci cadendo disegnavano quella struttura di ferro e cemento con una forza tale che qualsiasi cosa inquadrassi diventava magica. Spinto dall’ardore scesi persino dove c’erano i binari aspettando incurante l’arrivo dei treni sotto gli occhi incuriositi dei ferrovieri che si limitavano ad avvisarmi della pericolosità della situazione. Quando poi impostammo la copertina, Vanda ritoccò la foto usando dei pastelli che dettero all’immagine in bianco e nero virata di giallo antico, quel tocco in più. Per anni sono stato convinto che per ragioni contrattuali, il disco non fosse stato pubblicato invece incontrando Oscar seppi che era in circolazione anche se non aveva avuto grande successo.