domenica 25 maggio 2014

Compensare le medaglie

Ho riflettuto molto prima di scrivere questa pagina, avrei voluto registrarla come faccio da un pò come video sul blog, ma la preoccupazione di non essere chiaro parlando a braccio mi ha fatto preferire questa strada.
Dunque ieri pomeriggio avevo preso il treno per tornare a Pietrasanta dopo l’incontro che ho avuto alla libreria Feltrinelli, raramente compro il giornale sono anni che mi annoiano le incongruenze dei giornalisti, solitamente mi rilasso con un libro o con il fatidico sudoku, ma facendo uno strappo alla regola ho preso il Corriere. Sono rimasto colpito da due articoli, uno sottotraccia, l’altro trionfalistico, ma entrambe nocivi per il nostro benessere. Oggi parleremo del primo: si elencavano le persone che avrebbero ricevuto dal presidente della repubblica la medaglia di cavaliere del lavoro, era una sfilza di vincenti ricchi migliardari. No!!!! Così non va, non potremo mai cambiare questo mondo fino a quando daremo premi e riconoscimenti a coloro che ce l’hanno fatta, così si dice nel gergo della meritocrazia, avremo sempre per uno che sta in cima migliaia miglioni che stanno alla direva, con la bava alla bocca per ottenere anche loro qualcosa che li premi da una vita pesante e ingiusta. Lo so bene come funziona nel mondo della pubblicità, ieri come oggi si mostra ciò che potresti ottenere se avessi quella tal macchina quella tal casa quel tale elettrodomestico, ma non è per tutti e per alcuni per i meritevoli per quelli che costi quel che costi la otterranno, dimenticando l’etica la giustizia l’equità perchè la cosa più importante è esserci avere e del resto chi se ne frega. Ma come dargli torto, visto i mille messaggi che continuiamo a mandare, come possiamo pretendere di vedere una società giusta equa quando non facciamo che mettere i levrieri a correre dietro l’unico pupazzo di lepre, si azzanneranno perchè l’ottenerlo gli darà il diritto di pavoneggiarsi nel nulla. No credo che invece di distribuire riconoscimenti e premi ai vincenti debbono essere date delle compensazioni a quelli che arrivano dopo. Ho sempre sostenuto che i doni che un uomo riceve alla nascita e che gli permettono di mostrare di se il meglio siano essi i premi, vanno invece sostenuti coloro che la vita non ha premiato con particolari attitudini, coloro che silenziosamente sopravvivono ricchi di nulla se no se stessi loro sono gli eroi silenziosi i nessuno, anche coloro che non hanno avuto la fortuna di incrociare una passione. Che senso ha mettere dello zucchero sul miele? Questa volta non vorrei che quello che dico venga preso come il solito pensierino domenicale, se avete dei figli se li amate dovete far si che le cose mutino ma per fare ciò i primi a cambiare dobbiamo essere noi, in una ribellione civile dando noi stessi l’esempio, perchè non c’è arma più forte dell’esempio. Non costringete i vostri figli ad essere i primi della classe, non fategli scegliere gli studi più convenienti ma fate che siano felici, anche nell’ignoranza, perchè non esiste l'ignoranza nella felicità, di quella felicità che rende leggero lo scorrere del tempo. Amate gli ultimi nello stesso modo che amate i primi. E non è cosa semplice per nessuno, perchè quando ami gli ultimi provi ribrezzo per i primi e così viceversa e allora? Abbiamo speso generazioni intere per educarci alla competizione, per scoprire che è la prima causa del nostro malessere. Dobbiamo disimparare mettere gli ultimi davanti e i primi dietro, per COMPENSARE. Basta con i premi i premucci i riconoscimenti, basta con la generosità è un’offesa alla giustizia, basta con i ricchi i potenti che concedono la loro benevolenza, basta con i ringraziamenti verso coloro che gli hanno aiutati a raggiungere quel traguardo quel premio. Perchè la vita in sè è un premio non c’è n’è uno più grande.

Ascolto


Una sera ricevetti una telefonata da una persona che conoscevo professionalmente ma non personalmente, Luciano Tallarini. Sapevo essere un bravo professionista che curava l’immagine di molti cantanti italiani come Mina per esempio o Milva, la Vanoni. Luciano voleva parlarmi a proposito di una nuova etichetta che stava nascendo all’interno della CBS-Sugar, era una iniziativa di Caterina Caselli Sugar, stanca di fare la moglie del padrone voleva mettere a servizio della società di famiglia la sua esperienza di artista. Il modello era la Cramps o l’Ultima Spiaggia, ma costruire un’operazione su una esperienza già vissuta e in parte superata mi sembrava fallimentare, il nome che avevano scelto “Tir” era di quanto meno accattivante. Occorreva costruire qualche cosa di nuovo, che andasse oltre le esperienze passate. Scrissi un progetto che avesse un’immagine identificabile con un nome immediato. Nacque così “l’Ascolto”. La sua filosofia e la sua missione erano semplici, ascoltare tutte le tendenze emergenti farle crescere e poi una volta che avevano raggiunto una consistenza, contaminare con la loro presenza l’industria madre.
Per dare forza all’operazione concordai con Gianni Sassi che aveva grandi problemi economici di trasbordare gli Area dalla Cramps all’Ascolto. Il punto era che per far avere ai componenti del gruppo degli anticipi occorreva presentare i tabulati, che non erano confortanti, la pirateria aveva intaccato notevolmente i numeri delle vendite dei dischi degli Area, potevano arrivare ad un massimo di diecimila copie contro le settanta ottanta mila in circolazione.  Con la gentile compiacenza di Franco Crepax straordinario direttore generale della CBS-Sugar, mostrammo dei tabulati farlocchi in modo da fare avere un buon anticipo, tutti lo sapevano ma il valore e soprattutto la credibilità che si portavano appresso era tale da dover pagare lo scotto.

Gli uomini sottili - Parte 3

mercoledì 21 maggio 2014

The Kolors - I Want


Vorrei che scomparisse la povertà, la ricchezza, la violenza, l’intolleranza, la
solitudine, l’ignoranza, la ragione, la follia, per questo io dovrò scomparire

In questa dichiarazione c’è tutto e il suo contrario, negli anni passati la musica e tutto ciò che trascinava, rappresentava qualcosa d’importante per le giovani generazione, erano le bandiere che alzavano orgogliosamente per dichiarare il loro disappunto la loro gioia. Oggi le cose sono diverse non abbiamo le risposte ma neppure conosciamo le domande. Il punto non sta nella ricerca di una nuova strada, è che qualsiasi strada si percorra, noi dobbiamo cambiare, noi tuttti, nessuno escluso, sia che siamo nel giusto o nell’errore, dobbiamo cambiare i parametri i punti di vista, dobbiamo mutare la nostra natura, dobbiamo morire per rinascere. Stanno nascendo nuovi quesiti nuove necessità che sono incompatibili con la nostra essenza. Solo grazie a rivoluzionari capovolgimenti potremo trovare le domande prima, le risposte poi, solo dimenticandoci della nostra natura potremo risorgere. Per cambiare il mondo, non è il tuo vicino, non è il tuo amico, ne il tuo nemico che deve mutare ma dovrai essere tu, io noi tutti. Dobbiamo imparare a scomparire a rinunciare a noi stessi per poter superare i luoghi comuni il bene come il male la ragione come la follia. E’ una via dolorosa ma necessaria. Questa è in assoluto il più grande momento per l’uomo è il momento dove come dice la Genesi l’uomo fu fatto a immagine e somiglianza di Dio perchè lui stesso è Dio e per questo egli è in grado di rinventarsi.

martedì 20 maggio 2014

Il blog

La casa - Parte 66

Un saluto

E questa di stasera è l'ultima puntata dell'audio-libro "La casa di Nino". Ringrazio tutti quelli che con grande pazienza mi hanno seguito, spero di aver mostrato un metodo diverso di raccontare, comunque tra brevissimo, credo non più tardi di un paio di giorni, verrà pubblicata una nuova storia, "Gli uomini sottili". Il prologo sarà costituito da un video, mentre i restanti capitoli seguiranno la medesima metodologia di "La casa di Nino". La storia è un racconto minimale supportato da una base musicale.
Surreale e imprevedibile la vicenda si sviluppa in una qualsiasi cittadina di provincia dove uno strano individuo vive separatamente dal resto del mondo, nonostante la sua quotidianità sia segnata da appuntamenti fissi e maniacali. La storia ha diversi piani di lettura dove ognuno di noi può trovare parte di sé stesso.

lunedì 19 maggio 2014

La sensibilità

La sensibilità è una ricchezza o un’inutile orpello? Me lo stò chiedendo da tempo e analizzando i pro e i contro non l’ho ancora capito, parlo chiaramente dell’eccessiva sensibilità. Percepire ciò che non si vede, sentire le sfumature, vedere oltre ciò che appare, potrebbe sembrare una specie di preveggenza, un saper leggere il tempo prima che scorra, ma noi spaventati da quell’invisibile poniamo il mondo materiale al di sopra, in una posizione dominante, incontrastata, la logica del concreto di tutto ciò che è presente, ma non siamo questo, almeno non solo, il dolore per esempio non è solo quello fisico, ne esiste un altro ancora più micidiale non individuabile, il dolore dei sentimenti, ma come il dolore fisico è la sentinella della nostra salute, così è quello dell’anima ci ricorda che esistiamo, non solo che altri attorno a noi esistono. Non è una elegia al dolore, ma la consapevolezza che il vibrare del mondo ci appartiene e come tale ci chiede conto.

La casa - Parte 65

domenica 18 maggio 2014

La casa - Parte 64

Dik Dik - Strani fili


Lavorare per i Dik dik era piacevole, mi era permesso di fare qualsiasi cosa, non so se per una sconfinata fiducia, o perché ero quello che faceva le copertine di Battisti o perché ero il fratello di Pietruccio. Sta di fatto che con loro ho fatto cose di notevole impatto. Il modello ritratto è mio fratello, ha sempre avuto un fisico notevole anche adesso a distanza di anni mostra una portanza considerevole, d’altra parte la sua passione per i viaggi lo ha portato a misurarsi con imprese dove la preparazione atletica è fondamentale. E’ stato sul Kilimangiaro, in Amazzonia, roba da non scherzare e credo stia preparandosi a qualche nuova impresa.


sabato 17 maggio 2014

La casa - Parte 63

un ricordo







In occasione della serata con i ragazzi di Via Montebello, questo è un saluto per i presenti dedicato alla memoria di Stefano

giovedì 15 maggio 2014

il volo di un uomo, ma forse non proprio........

La casa - Parte 61

La Passione

Si può vivere senza la passione? Probabilmente si, ma è come vivere senza dare un senso alla propria vita. L’incontro con la passione è casuale a volte, ma determinante misterioso come può essere la rivelazione per la fede, non c’è logica ne strade particolari da percorrere, succede. E’ un dono prezioso che devi amare conservare rispettare. Non puoi rinunciare alla sua chiamata ne va dell’equilibrio tuo e di color che ti stanno accanto. Ma non è una scelta senza un prezzo, il costo a volte è talmente alto che ci rinunci, e per questo il tempo te ne chiederà conto. Perchè la passione non ti appartiene, ti viene affidata, il tuo compito è accrescerla e se non ne avrai cura, se rinuncerai, se tralascerai vivendola come semplice orpello, tutto ti si ribalterà addosso.

mercoledì 14 maggio 2014

La casa - Parte 60

I genitori

In proposito a quello che ho scritto ieri “ Io sono un dislessico “ volevo fare ulteriori riflessioni. Non si può colpevolizzare nessuno, lontano da me un pensiero simile. Gli insegnanti non conoscevano minimamente una malattia del genere e considerato il fatto che le classi contavano non meno di quaranta persone non era possibile che potessero seguire tutti, succedeva così che quelli che non ce la facevano venivano lasciati indietro. Nell’Italia del dopoguerra non era necessario che tutti fossero ingegneri o dottori, c’era bisogno anche di idraulici ed elettricisti. I genitori stessi non avevano nessuna preparazione, avevano perso autorità e non erano in grado di comprendere il loro compito. I sentimenti venivano celati in imbarazzi per cui svolgevano il loro compito come se fossero degli istitutori, spaventati da qualsiasi coinvolgimento sentimentale. Spesso riversavano le loro aspettative deluse sui figli sperando in un qualche riscatto per cui quando succedeva che questi non erano in grado di competere, erano delusi affranti non tanto per i figli, ma per loro stessi. Era l’ignoranza, un’ignoranza di ruolo, un’ignoranza di affetti, ma non si può mettere alla gongna chi ha dato tutto quello che aveva. Quando penso a mia madre a mio padre oggi sono pieno di rimpianti, non ho mai accettato la loro impotenza, e penso a quanto dolore inespresso debbono aver provato difronte alla loro incapacità di crescere dei figli. Ma noi siamo cresciuti ugualmente, perchè il seme, il loro era forte e pur gettato tra gli arbusti, pur coperto da ombre oscure, ci siamo alzati ammaccati è vero, ma siamo ancora qui dritti e saldi a testimonianza del loro passaggio.

martedì 13 maggio 2014

La casa - Parte 59

Io sono dislessico

Solo poco tempo fa ho scoperto di essere dislessico, forse perchè non sapevo bene cosa fosse e anche perchè ho sempre pensato che le mie difficoltà nei primi anni di scuola fossero dovuti ad una maturazione più lenta. Per questo sono stato bocciato in terza elementare; il mio maestro convocò i miei genitori per sapere se in casa si parlasse italiano e comunque consigliava di farmi finire le scuole dell’obbligo, allora erano le elementari e poi mandarmi a un qualsiasi corso di apprendistato come idraulico o elettricista. Il punto era che facevo veramente fatica ad apprendere, non riuscivo a decifrare perfettamente le parole e i numeri. Non sò se fu l’ambizione o l’amore dei miei genitori a non accettare le conclusioni di quell’insegnante, sicuramente segnò in modo determinante la mia sicurezza, dandomi la certezza che non avrei mai potuto salire oltre un certo limite. Ma forse fu proprio questo appartenere ad un mondo diverso che mi permise di inventarmene uno tutto mio dentro il quale ero il signore assoluto. Leggo che molti grandi personaggi hanno avuto il medesimo problema, non è che la cosa mi possa consolare perchè le ciccatrici rimangono. Comunque quando leggo qualcosa se sbaglio se mi attorciglio ripiglio da capo, vorrà dire che ci metterò un pò di più.

domenica 11 maggio 2014

Il vecchio ciclista


Curvo sul manubrio la testa ciondolante e il sudore che gli strappava la fatica, saliva lento il vecchio ciclista. Spingeva sui pedali con ritmo cadenzato ed il volto era piegato a guardare la ruota che gli stava davanti. In testa aveva un cappellino di tela fradicio che gli rimaneva appiccicato alla fronte nonostante la brezza gli venisse incontro. Dalla schiena inarcata, comoda e leggiadra guardava il mondo scorrergli attorno, una sacca di tela bianca e rigonfia.
La montagna verde e arida a tratti, dalla cima lo guardava sprezzante per deriderlo. Il vecchio ogni tanto alzava il capo per guardarla negli occhi ma lo sguardo veniva annebbiato dalle lacrime di sudore che scendendo andavano ad inzuppare il manubrio.
Aveva percorso quella strada erta e difficile già un'altra volta ma con un passo forte e gagliardo aveva irriso il monte senza degnarlo di uno sguardo; ora dopo così lunghi anni sentiva il pugno della salita dritto allo stomaco e per quanto spingesse sui pedali aveva la sensazione di rimanere fermo, ma per nulla al mondo avrebbe desistito.
Si concentrò allora sul ritmo che aveva preso il battito del cuore, pulsava così forte da non fargli sentire il fiato e il fracasso del bosco che gli si girava intorno. 
Il sole che si era appoggiato sulla cima della vetta, ora era così a picco che l'ombra del vecchio stava nascosta tra la catena e le due ruote.
Era estate e la giornata afosa si era arrampicata sino al passo. La moglie i figli ed i nipoti lo avevano scongiurato di non fare pazzie e rinunciare a quella stupida promessa fatta anni addietro. Ma il vecchio ormai ottantenne non volle sentir ragioni. E preso in disparte il più giovane dei suoi figli, lo convinse a tenere a bada gli altri perché nulla lo avrebbe fermato.
Enrico guardò il padre allontanarsi invidiandone il coraggio e comprese che l'epilogo di un libro deve essere scritto solo dal suo autore ed è inutile prolungare la trama solo per riempire altre pagine quando ciò che dovev essere detto già stava scritto.
La strada che sino poco tempo prima era stata presa d'assalto da mezzi di ogni genere, con lo scattare del tocco si era completamente liberata. I più si erano fermati a pranzare in un prato o presso qualche trattoria che aveva da tempo assediato il panorama. Solo il cigolio granuloso della catena attraversava i tornanti che si schiacciavano l'uno sull'altro, mentre la natura serenamente s'era sdraiata a guardare il nulla e ad ascoltare il niente.
Il vecchio girava sui pedali ormai da due ore, quando il cielo incominciò a turbarsi. L'uomo alzando il capo vide le nuvole che arrotolandosi disegnavano volti di persone che avevano in qualche modo segnata la sua vita. I profili di uomini e donne si andavano mescolandosi come i sentimenti che trascinavano con loro. Era un continuo sobbalzare di umori: dalla gioia al risentimento, dalla sorpresa all'indignazione, ma tutti portavano con sé una grande malinconia; il tempo era passato, trascorso spinto da quel vento che non si può fermare, né dal quale ci si può difendere. Abbassò allora il capo, troppo amaro era quel calice e lasciò che il bosco di conifera lo rinfrescasse con il suo corrergli appresso, quando lo sguardo inondato dal sudore e non solo da quello, cadde tra i cespugli che ornavano i solidi tronchi dei pini. Tra il luccichio delle foglie ed il brunire del muschio, spuntavano due imperiose corna ramificate.
Il vecchio per nulla sorpreso, indagò con la curiosità di colui che già conosce ogni risposta e vide sortire, forte ma docile nel contempo un cervo enorme. Aveva il pelo bianco e con il muso chino procedeva lento; sembrava quasi che il peso delle corna lo schiacciassero, ma il resto del corpo mostrava ancora una muscolatura potente e solida. L'animale abbandonato il branco stava risalendo il passo per trovare un luogo dove lasciare la sua vita nelle mani del tempo.
L'uomo vedendo gli occhi tristi e grandi del cervo, comprese che il destino li stava conducendo alla medesima meta e la cosa non lo turbò, anzi ne rimase soddisfatto, tanto che quando la strada si faceva meno astiosa e la sua velocità di conseguenza aumentava, tirava i freni per non lasciarlo indietro.
Ma i loro cuori battevano all'unisono e le loro anime si scaldavano insieme al tiepido sole dei ricordi. Il vento incominciò ad alzarsi, correndo dalla cima del monte giù verso la valle, bizzoso circondava i due nuovi amici deridendone la fatica e arruffandosi tra i capelli dell'uno e tra il pelo muschiato dell'altro, ma nulla li avrebbe potuti distrarre.
I profumi si fecero sempre più acri e forti e gli alberi del bosco rimasti lontani erano ormai invisibili, laggiù dove la vita è ancora la vita e dove il mondo è solo terra e acqua e null'altro. Davanti loro s'allargavano ora i grandi nevai preannunziando i ghiacci eterni delle cime.
Ma maligno dietro una roccia ben levigata e circondata da un acquitrino melmoso, una lancia di fuoco esplose trapassando il collo dell'animale. Come se nulla fosse il grande cervo proseguì imperturbabile, poi tra lo sgomento di uno sguardo rivolto al cielo, cadde di schianto. Fu un attimo e il vecchio buttata la bici sul ciglio della strada, si gettò sull'animale quasi volesse proteggerlo da ciò che era già avvenuto.
L'orizzonte si spense e le nuvole che erano rimaste appiccicate al firmamento, scesero per cancellare il profilo del mondo.
I due allora si guardarono con una intensità che non celava retoriche né difese. L'uomo avrebbe voluto caricarselo sulle spalle e con quel fardello sciocco risalire sino a dove il cielo occupava per intero l'orizzonte. Si rialzò e prese l'animale per le zampe posteriori, ma il peso era tale da rendere impossibile qualsiasi movimento. Rassegnato non gli rimase che coricarsi al suo fianco, appoggiando il volto sul suo collo.
Sentiva il respiro spegnersi mentre i flutti rossastri del sangue gli inzuppavano lo sguardo. Il sangue scendeva occupando per intero il corpo dell'amico e del vecchio che a quel tepore dolcemente si addormentò.
Il cacciatore preso coraggio uscì allora dalla sua tana e annaspando con il fucile che minaccioso tagliava la nebbia, s'avvicinò ai due per strappare alla bestia il trofeo che portava sul capo. Ma il sangue congelandosi aveva formato su di loro una protezione inattaccabile e la consistenza era tale da non dare la possibilità di distinguere dove stava l'uomo e dove l'animale.
Il bracconiere indispettito dette un calcio a quel piccolo promontorio e giratosi, messa a riposo l'arma, s'allontanò infilandosi tra le nuvole che avevano ormai preso possesso del cielo e della terra.
Quella notte il vento che aveva portato lontano i profumi della vita s'acquietò e la luna confondendosi con i crepacci s'appoggiò lieve sul mondo.
All'alba del giorno appresso, i colori sbucati dalle nebbie del primo mattino, si riflessero sul ghiaccio che aveva ricoperto per intero il piccolo promontorio. E i cirri spinti dalla tramontana si aprirono mostrando la terra nella sua interezza e in cima alla vetta tanto bramata dal vecchio ecco come per incanto, ergersi il piccolo promontorio.
Ora i due avrebbero potuto vivere là dove la morte non è altro che la vita.

La casa - Parte 57

venerdì 9 maggio 2014

Il giocatore di dama




Il giocatore di dama

Stava seduto dietro il rosso trasparente del calice di vino, il vecchio giocatore di dama. Tra le dita snocciolava le pedine nere dell’avversario, mentre con il gomito prendeva d’assedio la scacchiera.
Fumava all’angolo sinistro del labbro, un toscano spento già da tempo e mentre elencava le prodezze del passato, cercava ostinatamente d’irritare il dirimpettaio che testardamente restava muto. Il vecchio però incurante arrogandosi il diritto dell'esperienza, continuava a parlare lento e inesorabile.
Alle spalle la gente silenziosa, fissava il tavolo da gioco cercando tra le venature della scacchiera una risposta alle loro curiosità.
A volte le pedine acquistavano un presenza tale che ai contendenti risultavano così pesanti da rendere difficoltosa ogni mossa. Le dita, schiacciate sui dischetti, vi rimanevano incollate non volendosene liberare, quando poi si decidevano, con lentezza spossante ritornavano ad appoggiarsi al tavolo.
La partita durava già da tempo e le continue interruzioni la rendevano ancora più estenuante. Nessuno dei due sembrava avesse la meglio, ma più che il confronto la noia pareva vincesse.
Il vecchio giocatore aveva però capito che prima o poi sarebbe rimasto in minoranza, e la cosa lo incupiva, non voleva in alcun modo scendere dal trono che da sempre occupava lì alla taverna, così lasciò la lingua sciolta a rapinare al vento le scuse più impensabili sulla inutilità di quel confronto. E il giovane avversario, ignaro della sua supremazia, si spremeva il pensiero per cercarvi un’intuizione utile a raccogliere quell'eredità che il maestro suo malgrado stava cedendo.
Il vino scorreva come le parole che senza senso svolazzavano sopra quel tavolo e il cantiniere addormentato tra i fiaschi e i bicchieri sporchi schierati a rinfusa sul bancone, si attorcigliava la faccia con le palme aperte e ruvide.
Poi d’improvviso la tramontana portò, con il freddo tagliente misto al sapore acre di muschio, un fisarmonicista che spalancata la porta, seguì d’appresso il suo strumento.
La tastiera lucida brillava tra i fumi dell’alcol che avevano scalati i muri sino al soffitto. Con il volto liscio e senza umori il musicista si appoggiò alla cassa armonica, allargò le braccia trascinando con sé il soffietto che spinse i suoni fuori dallo stomaco. Il giocatore di dama si girò di scatto cercando di capire chi aveva distolto il suo pensiero, poi sorridendo con una bestemmia, si alzò e come se fosse stato pizzicato da una tarantola, si mise a saltellare attorno al tavolo; dribblando le panche e le botti incestate, agguantò la moglie dell’oste, che aveva la pancia appoggiata all’angolo del bancone. La donna si fece ingoiare dalla danza e muovendo il suo culo smisurato, lanciava le gonne per ogni dove. Il palchè che da anni subiva ogni atrocità, sobbalzava al taccheggiare dei due.
Rossi come melograni sbucciati, i visi erano tesi a non perdere il ritmo mentre il musico con lo sguardo dritto alla finestra che stava dinanzi, incominciò a fischiare con un sibilo acuto e perforante.
Non c’erano confini per i due girovaghi, così che gli avventori per non interrompere quel veleggiar di baleniere, s’andavano a schiacciarsi contro le pareti. Solo la scacchiera ed il suo dirimpettaio erano rimasti fermi ad osservarsi, riflessivi attendevano che il loro destino si avvicinasse.
E così avvenne che ad avvicinarsi non fu solo il destino, ma anche il culone dell’ostessa che nell’impeto, involontario per lei, volontario per lui, gettasse all’aria la dama, le sue pedine ed il corrucciato possibile, ma non dimostrabile, quindi inverosimile, vincitore.

La casa - Parte 55

I mezzi di comunicazione



giovedì 8 maggio 2014

La casa - Parte 54

Lucio Battisti - Il mio canto libero


Ho sempre pensato che nella semplicità sta la forza di un’immagine, togliendo le cose in più che complicano l’interpretazione si può essere più chiari, diretti. Gli occhi raccontano tutto di noi, nello sguardo c’è la nostra vita c’è la nostra scelta, gli occhi non sanno mentire perchè vanno diretti al cuore . 
Per me questa è l’immagine che da sempre ho considerato la mia copertina più bella, più intrigante.

mercoledì 7 maggio 2014

La casa - Parte 53

La sobrietà


Credo profondamente ad una comunicazione sobria, questo è l’aggettivo fondamentale la sobrietà, la necessità di riposizionare i nostri punti di riferimento rileggendo gli eventi secondo la situazione attuale, con la fermezza della sobrietà, non confondendola con la modestia che è ben altra cosa. Ricordiamoci che la sobrietà ha nell’eleganza nella bellezza nell’equità e nello stile la sua dimora, sussurrare non vuol dire tacere come gridare non significa avere ragione anzi. Per cui comunicare oggi vuol dire vivere e comportarsi con parsimonia camminando a passo leggero senza correre ma senza fermarsi non spingendo la sguardo oltre la collina ma soffermarsi al dolce crinale.

La comunicazione seconda parte


Questo intervento è incentrato su quello che potrebbe essere la comunicazione del futuro, una risposta alla crisi di sistema e alla presenza della globalizzazione

martedì 6 maggio 2014

la comunicazione 1


La casa - Parte 52

Gli uomini sottili


Una cosa mi colpisce in questi giorni, la discrepanza tra la parola e l’agire, sia ben chiaro non è cosa nuova tutt’altro, è invece consuetudine del genere umano, ci calza perfettamente il detto “Tra il dire ed il fare ci stà di mezzo il mare”. Ma come tutte le frasi popolari finchè non si vivono sulla propria pelle ci sembrano solo parole convenzionali. Qualche anno fa scrissi un libretto breve ma credo intenso dal titolo molto esplicativo “Gli uomini sottili” di cui vi riporto la prefazione

Sottili sono gli uomini che non sono. Leggeri e trasparenti non lasciano dietro se tracce alcune tra la polvere che il vento caldo dimentica beffardo sulla strada della vita. Non respirano e neppure spirano, sono ovunque e in nessun posto nel contempo. Ma sono pur non essendo. Guardano non visti senza memoria, dimenticando nell'istante stesso in cui stanno conoscendo. Piena è la terra di uomini sottili. Vagano abbandonati alla propria dimenticanza, senza amore ne dolore. E il tempo divorandoli non se ne sazia mai. Soli incompresi e incomprensibili, chiusi in scatole dagli occhi grandi, stanno alle finestre e sugli usci spaventati dalla loro stessa curiosità. Non sapere ne farsi  sapere, con il corpo a capo fitto infilato nella mente e lo spirito così disgiunto da essere dimenticato. Eppure anch'essi vibrano. Niente è sempre uguale a se stesso. Perché la pietà del mondo è grande e dolce.

Finito di pubblicare sul mio blog le puntate del libro “La casa di Nino” metterò in rete l’intera lettura de “Gli uomini sottili”.
Come ho scritto molte volte non esistono gli eroi esistono persone costrette a fare scelte loro malgrado che a volte ci appaiono come atti risolutivi, ma non c’è mai nulla di risolutivo, ne di definitivo perchè quando non te lo  aspetti, la vita risorge mostrandoci altre strade, altre vie, altre opportunità, non sempre facili, non sempre positive, diverse certo, ostili a volte, ma come potrebbe essere diversamente? Si può temere la vita?

domenica 4 maggio 2014

La casa - parte 50

La fila

Ci sono giorni in cui non hai voglia di stare in fondo alla fila, ti basterebbe stare nel mezzo, a metà percorso, almeno lì senti il profumo dell’arrosto, non dico di assaggiarlo, ma almeno ne puoi percepire l’aroma. Con questo non mi voglio lamentare, ma se il mazziere rimescolasse le carte forse potrebbe capitarci che dico una copia, o magari anche un tris. Insomma ognuno spera nella sorte in una sorte più generosa, ma se la dea bendata ci dà qualcosa vuole dire che lo toglie ad altri e la cosa non mi rende felice, non amo gioire sulle magagne altrui, ma allora come potremo avanzare nella fila? Come potremo avvicinarci al pranzo senza togliere il posto ad altri? Forse l’errore è nella disposizione, in una fila verticale piuttosto che orizzontale dove magari a nessuno è permesso di divorare il pranzo, ma a tutti ne arriva l’aroma.

Un matrimonio


Era verso mezzogiorno, quando siamo arrivati in piazza, ci siamo sistemati fuori seduti per bere un qualcosa, Vanda all’ombra per proteggere la sua ferita io al sole per scaldarmi le giunture. La Chiesa era aperta e fuori c’erano delle macchine addobbate da matrimonio. Guardavamo distrattamente per vedere che succedeva ed ecco uscire la sposa, era in bianco un vestito classico e lui in nero emozionatissimi entrambi. Non sapevano cosa fare ma non volevano muoversi da lì, quasi temessero che l’andarsene li avrebbe rigettati nella rutine di tutti i giorni, volevano assaporare ogni istante ogni momento. Poi guardai meglio e li riconobbi, erano due che venivano al bar ogni mattina tenendosi per mano, non erano ne giovani ne aitanti ne tante altre cose, anzi erano meno di altre cose, lui con lei era dolce e premuroso, la donna prima di quel giorno non l’avevo mai vista sorridere ne piangere, il suo volto era sempre immobile sprofondata nell’oblio del nulla, una sigaretta dopo l’altra più che respirare il fumo lo guardava muoversi. Non avevano avuto nulla dalla vita se non loro due e quello era stato più che sufficiente. Mentre noi che pretendiamo più che il giusto il superfluo, non riconosciamo il valore della nostra gioia, nulla è mai sufficiente. Loro invece che poco hanno avuto, ora che hanno tanto, camminando l'uno vicino l'altro tornano alla loro unica casa quella del sorriso.

sabato 3 maggio 2014

la scuola 2

La casa - Parte 49

Dik Dik - Storia di periferia


Dopo che con la copertina di “Vendo casa” avevo dato al gruppo un’immagine inusitata, per il disco successivo riprodussi un’istantanea fatta in una strada cittadina. Mi piaceva mettere sulla busta uno squarcio di realismo, mettere in contatto il mondo della fantasia con un taglio di vita quotidiano, anche se ricostruita: il disegno del gioco del saltarello lo disegnai io sul marciapiede, la strada stava dietro la trattoria Adriatica e la bimba che fa i versacci verso macchina è la sorella più piccola di Vanda, Monica, questo è il suo nome, l’altra ragazzina di spalle che sta saltando è invece una sua compagna di classe, anche i versacci sono fasulli perché glie li chiesi ma non fu difficile. Monica era una ragazzina schiva e introversa non permetteva a nessuno di fare breccia, ricordo che quando tornava da scuola entrava in trattoria e senza salutare nessuno si sedeva ad un tavolo nella saletta a fianco la cucina, la madre la serviva immediatamente , pasta al burro e cotoletta alla milanese erano le uniche cose che mangiava. Nessuno poteva rivolgerle la parola, non ti rispondeva stava con la testa china sul piatto. Aspettava che la madre avesse finito in cucina e standole appiccicata al braccio tornavano a casa. C’era una notevole differenza di età tra lei e le sue sorelle, un anno divideva la più grande Pinuccia dalla seconda Sonia, quattro invece erano gli anni che separavano Sonia da Vanda, mentre ben tredici erano gli anni di differenza tra la Vanda e Monica. Monica adorava la madre, ma tutte le figlie adoravano la madre, non si poteva non amare una donna simile. Quando la conobbi capii che cosa era una mamma, non che la mia fosse terribile, ci voleva bene a me e mio fratello, ma non sapeva dare senza chiedere. Gemma invece con quel suo sorriso tenue ed il capo leggermente piegato sulle spalle, dava incondizionatamente senza mai chiedere. Anche quando avevamo bisogno di un aiuto economico era sempre pronta a rinunciare lei per dare a noi, senza problemi e con leggerezza nonostante il loro conto fosse spesso in rosso. Quando ci veniva a trovare, con Monica appiccicata al braccio, ci portava sempre qualcosa da mangiare, preoccupata com’era che non mangiassimo. Il padre invece, il mitico cavalier Luigi, era buffissimo assomigliava a Peppino De Filippo con un sorriso chiassoso e dirompente, completamente preso da sé stesso e dalla sua voglia di esistere. Quando rimanevo chiuso in camera oscura fino a tarda notte, mi facevo compagnia con la radio, e cercando la sintonia mi capitava di fermarmi su Radio Meneghina, la mia preoccupazione era di sentire tra le telefonate dei radioascoltatori, la voce del cavalier Luigi in arte Luis, che invece di decantare una delle sue poesie d’amore, parlava di suo genero e di sua figlia, cioè noi, non era cosa grave sia ben chiaro anche perché la stima che provava era sopra ogni limite, ma proprio per la sua stima eccessiva, le sparava grosse così grosse da mettermi in imbarazzo.