Per scrivere questa storia non basterebbero cento pagine, comunque per non annoiare cercherò di essere sintetico, iniziamo con l’elencare i nomi di coloro che sono stati i protagonisti: Nanni Ricordi, nel cognome c’è la storia della musica italiana, Tony Casetta proprietario della Produttori Associati, delle sale d’incisione Stones Castle Studios a Carimate, non che produttore di De Andrè, degli Alunni Del Sole, di Santo & Jonny, di Casadei ed editore della colonna sonora di Apocalipse Now e di molti altri grandi successi mondiali, Andrea Valcarenghi ideatore e fondatore del mensile “Re Nudo”, poi c’eravamo noi i peones Gianfranco Manfredi ed io.
Gianfranco era uno studioso raffinatissimo, assistente di un grande della filosofia, il professor Dal Pra e lui stesso futuro cattedratico alla Statale, ma non gli interessava quella carriera perché preferiva scrivere romanzi e cantare le sue canzoni. Per quanto mi riguardava
non mi sono mai considerato un professionista di quelli pronti a soddisfare le esigenze del cliente, non era un caso di sciatteria, o di disaffezione, era semplicemente che non ne ero capace, non ero capace a fare cose che non sentivo mie, più volte ho provato ma con scarsi risultati. Nel corso degli anni ho semplicemente perseguito una strada di cui ero convinto un percorso che mi rappresentasse.
Era da poco nata la “Produzioni Autonome” società che Nanni aveva fondato per gestire uno spazio dai molti usi con Dario Fo, Giorgio Gaber e Jannacci, ma per svariate ragioni non successe nulla per cui nacque assieme a Gianfranco Manfredi e Riky Gianco, l’"Ultima Spiaggia". Il primo disco manifesto di fondazione fu il “Disco dell’Angoscia” un’opera musical-letteraria. Contemporaneamente il gruppo che faceva capo a Nanni aveva lasciato “Rosso” per approdare a “Re Nudo”. Andrea voleva portare il giornale da una distribuzione militante ad una che coprisse per intero il territorio nazionale, voleva dare una svolta al mensile. Visto che l’intera struttura de l’Ultima Spiaggia di cui facevo parte, lavorava anche per la rivista, mi fu chiesto di creare una nuova veste grafica. Non ricordo la ragione per cui impostammo il giornale stando dentro la camera oscura, forse perché ci sentivamo dei cospiratori o dei cialtroni, ma fu divertentissimo. Ne uscirono i primi tre numeri; sulla copertina del primo c’era un superman (che per ragioni economiche e di autorizzazioni aveva il mio volto) su una sedia a rotelle con il segno della rosa sul petto, ai suoi piedi un uomo al quale una bambina, Alice, gli sta mozzando il capo. Il giornale arrivò con la prima uscita a settantamila copie, una quantità notevole, purtroppo le spese di stampa e la percentuale che richiedeva il distributore era tale da mandare i conti sempre in rosso. Dopo vari mesi ottenni un rimborso spese di centoventimila lire. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri, Andrea, Gianfranco ed io ci spartimmo quegli unici soldi stando in piedi nello spazio tra l’Arena e il bar dell’Atm.
A Carimate nel castello, un falso dei primi del novecento, per volere del mitico Tony Casetta, nasceva la Stones Castle Studios. Le sale di registrazioni costruite su brevetto californiano, avevano già avuto l’adesione dei gruppi rock più importanti dagli Yes ai Pink Floyd. Casetta era un industriale con un’apertura mentale non comune, un visionario anfitrione di De Andrè come di Casadei, un uomo curioso privo di infrastrutture mentali e con grandi passioni, amante del bello come del non convenzionale. Aveva una casa costruita sulle sculture di Ceroli, dalla porta a forma di cerchio alle pareti trasparenti che dividevano l’interno dal giardino, amava l’arte tribale africana e le opere di Kristò. Un giorno lo invitai ad assistere ad uno spettacolo al CRT quando la sede stava in Piazza Abbiategrasso. Credo che fosse la prima volta che il Living Theatre si esibisse a Milano, e quella non era certo una performance dai canoni classici, provocazioni e coinvolgimento del pubblico erano i punti forti del gruppo, ma Casetta sorprendendomi ne prese parte senza scomporsi. Alla fine dalla sua Bentley verde bottiglia mi salutò ringraziandomi, un uomo tale non avrebbe mai avuto problemi nel conoscere Andrea Valcarenghi. Fu simpatia immediata non solo con Andrea ma anche con Gianfranco. Dopo una serie di incontri come primo intervento si decise di fondare una radio con il nome della rivista e di collocarla nella torre che stava sulle mura di cinta del castello. Il mensile aveva la necessità di essere presente con più assiduità, comunicare le iniziative, gli spettacoli, dialogare con i lettori, lanciare delle iniziative sociali e politiche, il progetto inoltre avrebbe conglobato al suo interno anche una etichetta discografia “ Il Laboratorio”.
Ogni anno il giornale per finanziarsi organizzava un festival, l’entrata era gratuita ed il guadagno veniva dalle attività: vendita di oggetti, bar, ristoro tutto al fine di rimettere a posto i conti. Fu allora che si pensò di produrre sotto l’etichetta “Laboratorio” la registrazione del concerto.
La manifestazione che durò tre giorni al parco Lambro con entrata libera, contò una cifra attorno le due trecentomila persone, ma una contestazione molto dura ebbe un epilogo drammatico, gruppi di forsennati presero d’assalto il palco; la causa erano i prezzi praticati per i prodotti venduti all’interno, non ci fu ragione per quanto Andrea cercasse di spiegare che alla rivista per sopravvivere occorrevano dei fondi, questi con la stessa incapacità di accettare o meno un artista costrinsero gli organizzatori a chiudere quella esperienza, che non si sarebbe più ripetuta, terminava con questo atto inconsulto un epoca, si sanciva così la fine di un movimento libertario per trasformarsi in qualcosa di più drammatico.
Credo che esista una registrazione completa dei tre giorni sia per quanto riguarda la musica che i dibattiti compreso di contestazione. Da quello Gianfranco ne ricavò un disco di un’ora circa. La copertina fu un progetto di Vanda che rielaborando un quadro di Bruegel, aveva introdotto degli elementi che si rifacevano alla protesta alimentare. Rimane ancora l’immagine dell’etichetta dove si vede un dettaglio di gambe con grembiule tenere vicino a se una scopa di saggina, Vanda che ne era la modella, la riutilizzò per la società che successivamente fece assieme a Romano Gregorig e Milvo Ferrara.
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