lunedì 30 gennaio 2012
Biglietto per l'inferno
Due sono stati i personaggi che per varie ragioni hanno ispirato loro stessi le immagini che ho prodotto. Uno di questi era il cantante dei “Biglietto per l’inferno” Claudio Canali. Gli chiesi di saltare tenendo tra le mani un bastone e lui si sbizzarrì con una serie infinita di pose. Molti anni dopo ricevetti una telefonata da un signore che avevo conosciuto come loro supporter, detto il “Baffo”, mi chiese di poter ripubblicare la copertina e le altre immagini per una riedizione dei loro dischi. In Giappone c’è un forte mercato per il progressive italiano, un genere che è stato liquidato con troppa fretta. Quando poi mi aggiunse che il ricavato sarebbe andato al piccolo monastero che stava nell’entroterra ligure a Minucciano dove priore era proprio lui, l’ex cantante del gruppo, non ebbi problemi, tutt’altro. Certo che l’ironia della vita ti sorprende sempre, l’immagine il simbolo di un gruppo fortemente trasgressivo dal nome “Biglietto per l’inferno” dopo anni te lo ritrovi priore di un monastero arrampicato tra le alture solitarie della Garfagnana.
venerdì 27 gennaio 2012
La scure
(Terra - Parlo) La scure
martedì 24 gennaio 2012
Curare con amore
Ho nascosto i miei occhi affinché nessuno mi possa trovare
I colori prendono d’assedio le incertezze e guardandomi tra il cuore e l’ombelico le sento svanire
Una piccola luce si è accesa, ma presto molte altre seguiranno
Sulle spalle del mondo sorriderà l’uomo attento ad ogni travaglio
domenica 22 gennaio 2012
Pino Daniele - Bella 'mbriana
Era la fine del 71 stavo cercando uno studio, un posto dove poter lavorare e vivere con la mia compagna, ne avevamo visti molti ma influenzato dall’esperienza londinese dove gli studi stavano in fabbriche dismesse, non riuscivo a trovarne di simili, era difficile perchè volevo che fosse situato in centro ma quando si parla di capannoni e fabbriche non se ne trovavano certo in prossimità del Duomo o del Castello Sforzesco. Poi vidi fuori da un portone un cartello con scritto affittasi magazzino di 200 metri quadrati libero subito. La casa stava in un viale alberato davanti ci passava il tram dove dai racconti di mio padre cinquant’anni prima ci scorreva un fiume. In un piazzale accanto c’era la Rotonda della Besana dietro il Tribunale ad uno attimo dal centro. L’entrata stava a fianco di un cinema, superato il portone un forte odore di medicinali usciva dalla corte. Andai dalla portinaia che mi disse che il posto era messo male ed era sfitto ormai da più di un anno. Stava al primo piano, salita una scala stretta e scura mi ritrovai davanti una porticina modesta non riuscivo a capire come poteva essere che dietro ci fosse un spazio così grande come era scritto sul cartello. Entrai c’era un corridoio polveroso lungo una decina di metri e in fondo una porta a vetri rotta, da lì si poteva scorgere un salone di almeno duecento metri quadrati, il pavimento era in asse di legno perlinato tutto smosso e pericolante e dal tetto scendevano da due lucernari posti ad almeno sei metri dei fasci di luce impolverati. Lo spazio stava proprio sopra il cinematografo. L’Astoria così si chiamava, era stata una delle prime sale cinematografiche nate a Milano, sotto lo schermo c’era lo spazio per il pianista che accompagnava le proiezioni. Tra la prima e la seconda guerra mondiale, il locale non era frequentato benissimo e non avendo i bagni succedeva che sui pali portanti della sala, la gente andasse ad urinare, per questo fu soprannominato “El pisa”. Negli anni sessanta passò sotto un nuovo proprietario che aveva anche un'altra sala, l’Ariosto. Era un uomo attento e curando la programmazione portò il locale ad essere considerato un cinema d’essai. Durante i primi anni, per ringraziarci della collaborazione che davamo nel segnalare le pellicole che ritenevamo interessanti, ci dette una tessera per l’ingresso gratuito. Ma all’inizio degli anni 80 cambiò la proprietà e la sala divenne per film a luci rosse. Lo spazio dello studio all’inizio del secolo era stato una fabbrica di corsetteria fino agli anni quaranta, quando divenne un magazzino di mobili e l’anno prima che noi arrivassimo un oscuro gruppo politico lo usava per riunioni e montare striscioni manifesti e altro..
Non ebbi dubbi nonostante tutti cercassero di dissuaderci quella sarebbe stata la nostra casa il nostro studio e lo fu per più di trent’anni.
Ho parlato dello studio e di come era perché questa copertina fu fatta proprio sulle scale della nostra casa studio, in viale Monte Nero a Milano
Mi è sempre stato più semplice trattare con i musicisti del sud, soprattutto i napoletani, primo per la loro autenticità, secondo perchè privi di infrastrutture che rende ogni rapporto più mentale che di cuore e per quel forte senso di autoironia che rende leggera ogni cosa. La loro è una saggezza antica, dove il dubbio più che la certezza segna il loro vivere.
L'uomo e il motorino - Quinto capitolo A
Il torrente dalle limpide acque, arrivato tra i sassi rocciosi della piana, si infilò in un grande lago d'argento e scomparve agli occhi del mondo.
giovedì 19 gennaio 2012
New Trolls Atomic System
Era un periodo molto difficile per me, per varie ragioni Vanda ed io avevamo deciso un periodo di riflessione, per fortuna non avevamo ancora nostra figlia. La sera restavo spesso solo e la cosa non era piacevole. Succedeva che mi venisse a trovare Bertolazzi quel mio amico pittore con il quale assieme ad Oscar Prudente ed Ivano Fossati spesso si combinavano cene e grandi serate. Lavorare era difficile e le idee sembrava che se ne fossero volate via. Beppe però insisteva sempre cercando ogni stimolo per smuovere la mia apatia. Così un giorno dissi che volevo rompere qualcosa, Bertolazzi che era un genio della provocazione e dell’ironia, mi consigliò di rompere un uovo. Pensai che fosse un’idea da fermare. Presi un uovo un martello feci l’inquadratura e poi chiesi a Beppe di scattare. Siccome non aveva mai avuto a che fare con una macchina fotografica fece casino, così dopo lo scatto del flash lasciò aperto l’otturatore generando la scia. Il giorno dopo i New Trolls mi chiesero un’idea per la loro copertina “ New Trolls Atomic System”: non c’era problema avevo quella che calzava perfettamente.
mercoledì 18 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Quarto capitolo B
Il torrente dalle limpide acque, arrivato tra i sassi rocciosi della piana, si infilò in un grande lago d’argento e scomparve agli occhi del mondo.
martedì 17 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Quarto capitolo A
Il bimbo vide scendere dal destriero il cavaliere. Splendeva la sua corazza al sol di maggio. E l’elmo si tolse, con tutti i paramenti e comparve il guerriero. Magro, smunto e senza fede. Gridò allora il fanciullo:
“Chi mi difenderà ora dalla paura?”
“Chi mi difenderà ora dalla paura?”
lunedì 16 gennaio 2012
Lucio Battisti - Il mio canto libero
La Numero Uno fu la prima etichetta indipendente, per parecchi anni la più prolifica e con più successi nel panorama discografico. Le ragioni di tutto ciò, oltre alla presenza di Battisti e Mogol era la coesione del gruppo. Suonavano, scrivevano, cantavano aiutandosi l’uno con l’altro, succedeva così di vedere Lucio aiutare Lavezzi nella composizione di un pezzo e poi magari entrare in sala e mettere la sua voce nel coro, senza chiedere partecipazioni o firme. Gli unici che si tenevano in disparte era la PFM forse per una mai dichiarata avversità verso Giulio, non era un uomo facile, io stesso non condividevo le sue idee i suoi modi di agire, ma non per questo non gli riconoscevo una straordinaria genialità, aveva quella incredibile capacità di capire e di tradurre il tutto con una semplicità disarmante, le parole gli uscivano dalla penna con la naturalezza dell’acqua fresca, insomma aveva il dono. Misterioso il connubio con Lucio, così diversi eppure così complementari, c’era tra loro una magia indefinibile. Ricordo un giorno proprio in occasione della registrazione di questo disco assieme a Giulio e alla Vanda andammo alla Fonorama, la sala d’incisione vicino a via Ripamonti, Lucio stava lavorando su quell’incisione ormai da molte settimane credo addirittura da mesi, assieme ai componenti della PFM. Ci fece ascoltare “il mio canto libero”. Dopo un pò Giulio prese in disparte Lucio, uscirono dalla cabina di regia e nella sala d’aspetto con la sua voce roca e stonata Mogol gli si mise alle spalle e cantò il pezzo come secondo lui doveva essere, personalmente mi sembrava un’accozzaglia di note stonate, ma non per Battisti. Non aggiunse altro, richiamò Francone Mussida, fece spegnere le luci nella sala di registrazione e di prima botta cantò il brano così come poi sarebbe uscito, quale polvere magica gli avesse soffiato nell’orecchio nessuno lo poteva sapere, ma certo qualcosa successe.
Con quello spirito di partecipazione collettiva si facevano anche le copertine, così quando dovetti fare questa foto chiamai a raccolta tutti gli artisti della Numero Uno con mogli a seguito, c’era da Lucio con consorte a mio fratello che non era del gruppo ma era grande amico, c’era da Oscar a Radius, la mitica Antonella con la Maionchi. Quando misi la macchina fotografica per fare l’inquadratura mi accorsi che c’era un problema, un grosso problema, la distanza della testa dalle mani alzate sacrificavano l’inquadratura, non c’era altra soluzione che farli sdraiare. Non fu facile perché tenere le braccia in quel modo per molto tempo era faticosissimo poi c’era da metterli in posizione, presi dallo sfinimento nell’ilarità generale si scatenavano le battute. Si passò quindi alle gambe e qui la storia si fece seria, per leggerezza non avevo avvertito che dovendo dare la sensazione che le persone fossero nude, sarebbe stato necessario togliersi i pantaloni le scarpe le calze e le gonne. Per quanto riguardava le donne non ci fu problema, le ragazze non fecero una piega si tolsero ogni cosa che creasse impedimento, per gli uomini fu una lunga ed estenuante trattativa, forse anche perchè qualcuno non si era cambiato le mutande. L’immagine che ne uscì raccontava lo spirito dell’etichetta oltre al contenuto del disco.
Il progetto però non fu sviluppato esattamente come era nato. Le foto della copertina sarebbero dovute essere stampate su carta trasparente in modo che estratta la busta interna dove fisicamente era contenuto il disco, le mani e i piedi si sarebbero toccati sovrapponendosi, perché è nella musica il cuore e l’anima degli uomini e quando non c’è il cuore la passione, le braccia e le gambe diventano inutili. Ma non fu possibile per una ragione di costi, di tiratura e di praticità tecnologica.
La croce
(Terra - Parlo) La croce
domenica 15 gennaio 2012
Curare con amore
Mostrerò la via anche a colui che non crede
Non temere, chi non è mai caduto?
Chi non ha bisogno di un aiuto? Solo gli sciocchi credono il contrario
Bianco e nero forse anche grigio
sabato 14 gennaio 2012
Fabrizio De Andrè - Rimini
Quando Fabrizio stava lavorando su questo progetto era ancora sotto contratto alla Produttori Associati una casa discografica diretta da un uomo straordinario, un industriale illuminato e dal coraggio visionario come pochi. Grazie a lui Fabrizio aveva potuto registrare non ricordo quanti ma almeno 7 o 8 long playing, quando di dischi ne vendeva ben pochi, ma Tony Casetta questa era il suo nome, credeva in lui così tanto che non si fece mai scoraggiare. Sta di fatto che nel mondo discografico non c’era spazio per un industriale sognatore, tanto che nonostante avesse in classifica più di un disco, in anni in cui i dischi si vendevano davvero, era così in difficoltà che stava chiudendo non solo la sua casa discografica ma anche la sala di registrazione che stava per inaugurare al Castello di Carimate, la Stones Castle Studios. Insomma mentre Fabrizio a Roma registrava con Tony Mims e la collaborazione di Bubola non si sapeva se il disco sarebbe uscito o meno. Decidemmo allora di chiedere aiuto alle istituzioni, cercavamo quella che oggi si chiama sponsorizzazione. Spinto da Fabrizio, telefonai al comune di Rimini, ma presi una cantonata memorabile, parlando con un responsabile del comune raccontai che De Andrè stava per pubblicare un 33 giri dal titolo "Rimini", aggrappandomi ad una trovata del momento raccontai che la storia era incentrata su una cittadina Rimini che prende vita solo d’estate, una realtà paracadutata, furono le mie parole, una cittadina che prende vita e ha la sua storia solo d’estate. Stupidaggine più grossa non potevo dire, dall’altra parte della cornetta ci fu il gelo poi: "Lei si sta confondendo con un'altra località Cattolica per esempio, noi qui siamo ricchi di storia, lei indubbiamente non rammenta Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, una storia d’amore citata nel quinto canto dell’inferno dal sommo poeta Dante Alighieri" Fu il tracollo cercai di arrampicarmi sui vetri ma oramai la frittata era fatta. Non ottenni nessun aiuto se non la semplice prenotazione con pagamento a mio carico di una stanza in uno di quegli alberghi tipici per famiglie. Comunque arrivai a Rimini il giorno dopo ferragosto di pomeriggio e andai alla spiaggia, il tempo era orribile ma la luce era interessante lì scattai la foto della signora anziana che stava seduta su un pattino. Il giorno dopo il cielo era limpido. Non ero mai stato un frequentatore della costa romagnola tranne durante una tournè estiva di mio fratello. Comunque non avevo mai visto quelle spiagge la mattina quando l’affollano i bagnanti. Sembrava di essere all’ora dello struscio sul corso principale con l’unica differenza che erano tutti in costume da bagno, si muovevano continuamente su e giù quasi che il mare fosse lì solo come contorno, interessava a pochi. Sulla battigia c’era di tutto ma la cosa che mi colpì fu la postazione di un fotografo che aveva attrezzato un vero e proprio set con tanto di palme di plastica sfondo con reti colorate testuggini e stelle marine inoltre per chi voleva poteva indossare delle gonnelline di plastica colorata che come tende di una gelateria pendevano attorno a quelle pance flaccide o rinsecchite dall’età. S’era formato un vero assembramento di donne che volevano farsi ritrarre su quello sfondo indossando oltre a dei fiori di plastica ingialliti, la tenda ritagliata e pigliando ispirazione da altre foto scimmiottavano le danzatrici Havaiane, la cosa incredibile era che ci credevano, non erano foto fatte per scherzarci sopra, servivano a far arrabbiare le amiche o le colleghe quando tornando a lavoro le mostravano facendo credere in un improbabile viaggio nelle lontane isole del Pacifico. Non c’era storia, quella era la copertina simbolo non certo di Francesca da Rimini che non aveva certo bisogno di altre colpe, ma di quel mondo dell’apparenza che stava sempre più facendosi strada. L’immagine ebbe un leggero intervento con il verde dei pastelli di Vanda per mettere in maggior risalto l’assurdità di quella situazione.
Non rimasi molto anche perché dovendo stare sulle spese non potevo scialare. Così due giorni dopo ripresi il treno e questa fu l’ultima immagine che feci. Ricordo che guardando la scritta "Rimini" mi venne in mente che quella era anche la città di un grande, Fellini, fu questa la ragione dello scatto una specie di piccolo risarcimento mentale.
C’era una vita parallela a quella della spiaggia. Mi ritrovai così a girovagare tra le bancarelle e nella piazza principale dove si stava svolgendo l’incontro settimanale dei contadini. Già perché quella non e ra solo la terra del turismo sfrenato e selvaggio ma anche una delle zone agricole più fiorenti.
L’immagine degli uomini girati di spalle rappresenta a pieno "Volta la carta", è il mistero che sta dietro le cose, l’altra faccia della Luna, pensi che stiano guardando, una partita di calcio o l’esibizione di un teatrante o la vendita di pentole e non puoi neppure capire quale sentimento provano perchè non ne vedi l’espressione, il muro di spalle ti impedisce di verificare, ma questo non ti vieta di farti delle domande, e di sperare che dietro ci sia la concretizzazione dei sogni.
Stavo in una stanza dove non c’era il bagno ma un lavandino e un bidè di plastica. Non voleva essere una critica, bensì una considerazione, era la radiografia di un paese che sa adattarsi, ma non per questo si piange addosso. Avrei voluto descrivere fotograficamente anche la sala da pranzo ma sarebbe stato difficile raccontare con una immagine lo stato d’animo che percepisce il nuovo ospite la prima volta che sotto lo sguardo indagatore, si siede per cenare, tutti lo guardano, lo pesano ne cercano il valore su cosa indossa con chi sta. In quel mondo dell’apparenza, descrivere le schermaglie di una società che si rappresentava in modo fasullo avrebbe necessitato più tempo e forse più esperienza. Mi sarebbe piaciuto raccontare le spacconerie balneari delle mogli e dei mariti, semplici impiegati diventati direttori generali, proprietari di piccoli negozi trasformarsi in titolari di una catena di supermercati.
Facendo un calcolo approssimativo compreso di treno andata e ritorno albergo per due notti pensione completa spesi circa trentamila lire penso che fosse il 76 o 77.
In queste immagini ci sono due mondi a confronto, da una parte i padri dall’altra i vitelloni, il nuovo modo di essere uomo padre e marito con la pigrizia della staticità umana. Erano anni in cui le donne non accettavano più di essere considerate solo come madre mogli e amanti ma pretendevano di essere viste come esseri umani, e la terra del vitellonismo del maschio conquistatore disegnato da un grande concittadino come Fellini vedeva nella Rimini balneare il suo culmine.
venerdì 13 gennaio 2012
Banco
Arrivarono da me i componenti di questo nuovo gruppo che Sandro Colombini produceva per la Ricordi. Romani di grande simpatia avevano nei fratelli Innocenzi la forza musicale, mentre in Francesco Di Giacomo la voce e l’immagine, in effetti la forza di questo gruppo si contrapponeva alla PFM proprio in questi due aspetti, mentre nel Banco c’era una figura carismatica, nella Premiata no. Feci una grande quantità di foto, ma alla fine della giornata non ero contento, avevo del materiale banale senza nerbo. La sera dopo cena decisi di andare con Vanda al cinema sotto casa, non ricordo che pellicola ci fosse, ero distratto e sottosopra nei miei pensieri, cercavo una soluzione un qualche cosa che mi soddisfacesse. Poi non so cosa successe, ma prima che terminasse la proiezioni convinsi mia moglie che dovevamo andare. Salimmo in studio, era già passata la mezzanotte, telefonai alla pensione dove erano alloggiati i componenti del Banco, alcuni stavano già dormendo, mi feci passare Francesco e gli dissi di prepararsi perché sarei passato a prenderlo e nonostante l’ora e la proposta, non ci fu titubanza da parte sua. Fortunatamente Vanda si era fatta imprestare la mattina prima la macchina, una NSU Prinz dalla sorella. Arrivammo in corso Buenos Aires alla pensione Colombo che già Francesco era sul portone ad aspettarci. Allora il suo volume era considerevole e la macchina era una super utilitaria, farlo salire fu un’impresa, poi per non farci mancare nulla incominciò a nevicare rendendo le strade sdrucciolevoli. Una volta in studio posizionai una colonnina al centro dell’inquadratura ci misi sopra lo stivaletto che avevo comprato anni prima a Londra, era il famoso modello usato dai Beatles, poi chiesi con un certo imbarazzo a Francesco di spogliarsi nudo, sorprendendomi non fece una piega, gli detti un martello gli infilai in testa un cappello e gli cacciai sul naso i miei occhiali, il resto lo fece lui. Era straordinario un grande attore non a caso Federico Fellini lo volle in "Roma" e "Prova d’orchestra". Terminammo all’alba con Milano sommersa nella neve. Ero veramente soddisfatto. Quelle foto divennero il poster del gruppo e furono usate per la loro prima copertina, il salvadanaio e per la copertina inglese.
Certo i rapporti con i produttori discografici non erano sempre dei migliori. Il Banco firmò un grande contratto con l’etichetta inglese Manticore degli Emerson Lake & Palmer, gruppo top di quegli anni. L’uomo che seguiva il gruppo venne da me promettendomi mari e monti affinché gli affidassi dietro una promessa di un notevole compenso e di una collaborazione con l’etichetta inglese, un negativo originale tra quelli che avevo del servizio fatto al Banco, io che sono sempre stato un boccalone glielo detti, l’immagine fu usata in tutto il mondo ma io non ebbi ne una lira, ne venne firmata, ne vidi mai più quel uomo. Pazienza, la cosa più importante è che questa immagine sia stata vista da milioni di persone.
giovedì 12 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Terzo capitolo B
Vola lo sparviero, alto sopra le vette, e con le piume distese raccoglie il vento e i profumi della terra. Presto farà una preda prima che il cacciatore possa colpirlo trafugandone l'anima gentile.
mercoledì 11 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Terzo capitolo A
Mentre il daino correva sulle rive del fiume, vide un compagno che nell’acqua lo seguiva. Allontanatosi l’amico scomparve, allora si tuffò nel gelido ruscello. Ma nulla, neppure una traccia, alzò lo sguardo e scoprì la luna chiara e splendente
"Io ho rapito quell’ombra che cerchi". Gridò l’astro che di notte ti spia.
martedì 10 gennaio 2012
Ballare
(Terra - Parlo) Ballare
L'uomo e il motorino - Secondo capitolo B
I flutti di un mare in tempesta entrarono nel sole al tramonto, forse spegneranno quella palla di fuoco che bruciava ad occidente, o forse le onde alte e potenti, unite a quel dio splendente, diventeranno un cielo di cristallo spruzzato di stelle, nessuno potrà saperlo, perché nessuno potrà vederlo.
lunedì 9 gennaio 2012
Curare con amore
Ogni giorno mi poni una nuova domanda, la stessa di sempre e ogni volta tua volontà ti risponde
Non credere a tutto ciò che ti dicono né devi credere a tutto ciò che vedi, ma credi a tutto ciò che il tuo cuore sente
Ogni età ha la sua storia e in ogni storia il cielo e la terra si guardano benevolmente a volte, con ferocia altre, ma entrambi finiscono sempre in mare
Nuoto nei corridoi tra le mura di cemento ed il pavimento di graniglia e girandomi sul dorso osservo le stelle vibrare tra i neon
Edoardo Bennato - Non farti cadere le braccia
Lo vidi per la prima volta seduto per terra alla Numero Uno nell’ufficio di Antonella la mitica e mai dimenticata segretaria di Giulio Rapetti in arte Mogol, stava lì come qualcosa di estraneo. Qualche tempo dopo fui chiamato da Lucio Salvini, direttore artistico della Ricordi, per fare la copertina di un loro nuovo artista prodotto da Sandro Colombini, Edoardo Bennato. Per capire meglio chi fosse e cosa facesse, mi consigliò di andarlo a sentire in una serata al auditorium della Bocconi. La sala era gremita all’inverosimile, su un palco improvvisato c’era lui da solo con la chitarra al collo uno strano aggeggio che gli permetteva di tenere di fronte un’armonica a bocca ed un kazoo, per terra un tamburello che comandava con il tacco della scarpa, era una piccola orchestra fai da sé. Suonò con vigore per due ore almeno senza mai fermarsi era una forza della natura. Musicisti che si esprimevano in quel modo li avevo già visti nei sottopassaggi dei metrò o agli angoli delle strade di Londra.
La copertina semplice ma diretta, aveva una manifattura divertente, il cartonato era ritagliato e l’unico fiammifero si alzava assieme alla sua base. Per ragioni di vendita la busta si presentava come un pacchetto aperto, anche se io avrei preferito che la scatola di minerva, fosse chiusa, con l’immagine di Edoardo senza nessuna scritta. Ho letto ultimamente su Wikipedia, l’enciclopedia mediatica di internet, che il disco si sarebbe dovuto chiamare "l’ultimo fiammifero", non so da chi è arrivata questa notizia, ma è falsa perché quando mi dettero il titolo "Non farti cadere le braccia", pensai che il modo per raccontarla fosse quello di usare l’immagine di una confezione dove era rimasto l’ultimo fiammifero.
Lo spazio dove lavoravo e vivevo aveva la sala di posa con il pavimento in legno. Quando lo presi in affitto prima di far entrare gli operai per ristrutturalo, con un piede di porco rimossi l’intera pavimentazione, e se non ci fosse stato Franco Mussida chitarrista della PFM ad aiutarmi a smuovere quei duecento metri quadrati di perlinato sconquassato, non ce l’avrei mai fatta. Al loro posto furono sistemate delle grandi lastre di truciolato dipinte col bianco stradale e lo scricchiolare di quel pavimento era cosa naturale quando gli si camminava sopra. A fianco abitava una signora di una certa età che aveva la camera da letto proprio accanto alla parete dove solitamente ambientavo le foto, la sera quando mi attardavo per varie ragioni camminando disturbavo il sonno della donna che ogni volta che mi incontrava si lamentava. Oscar Prudente aveva cambiato casa e non avendo spazio aveva lasciato il suo piano parcheggiato nel sala pose.
Una sera Edoardo accompagnato dal fratello e da un signore avvolto in un cappotto e con in testa un cappello di pelo che non voleva lasciare, erano venuti in studio per farsi fotografare, quelle immagini avrebbero fatto parte della seconda copertina sulla quale stavo lavorando. Finito di scattare come si era soliti, parlammo del più e del meno mi dissero che stavano lavorando ad uno spettacolo straordinario e l’uomo dal cappotto si sedette al piano e incominciò a farmi ascoltare buona parte dell’opera che avrebbero chiamata "La gatta cenerentola". Poi Roberto de Simone l’uomo dal cappotto e dal cappello di pelo, Edoardo e Eugenio Bennato mi salutarono che s’erano fatte almeno le tre. Il giorno dopo vidi arrivare la mitica vicina, la signora Gatti, ero già pronto alle scuse, invece sorridendo mi disse che era rimasta sveglia ad ascoltare estasiata quel pianista straordinario e alla fine dei complimenti mi chiese dove si poteva acquistare il disco.
Una sera Edoardo accompagnato dal fratello e da un signore avvolto in un cappotto e con in testa un cappello di pelo che non voleva lasciare, erano venuti in studio per farsi fotografare, quelle immagini avrebbero fatto parte della seconda copertina sulla quale stavo lavorando. Finito di scattare come si era soliti, parlammo del più e del meno mi dissero che stavano lavorando ad uno spettacolo straordinario e l’uomo dal cappotto si sedette al piano e incominciò a farmi ascoltare buona parte dell’opera che avrebbero chiamata "La gatta cenerentola". Poi Roberto de Simone l’uomo dal cappotto e dal cappello di pelo, Edoardo e Eugenio Bennato mi salutarono che s’erano fatte almeno le tre. Il giorno dopo vidi arrivare la mitica vicina, la signora Gatti, ero già pronto alle scuse, invece sorridendo mi disse che era rimasta sveglia ad ascoltare estasiata quel pianista straordinario e alla fine dei complimenti mi chiese dove si poteva acquistare il disco.
domenica 8 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Secondo capitolo A
Viaggiava il cavaliere sulla sommità della collina, la polvere inseguendolo, mai lo raggiungeva. Così solitario appiccicato ad una notte senza stelle, cercava la speranza tra i mille granuli di sabbia nelle fredde dune del mondo.
L'uomo e il motorino - Primo capitolo B
Correva il baio dal mantello scuro come la notte senza luna e senza stelle. Saltò la staccionata alzandosi in volo mentre gli inseguitori viaggiando a pelo d'erba non potevano vederlo, e lui che aveva la criniera lunga quanto la strada per Baghdad, sceso sin dentro la boscaglia si lasciò abbracciare dal vento che nascondendolo, ne divenne il padre e la madre.
Curare con amore
I profili dei bimbi, trasparenti alle malignità del mondo, camminano nella luce
Gli uomini si misero insieme per vedere meglio il futuro
Appoggiata al muro della conoscenza attendo un segno che mi spinga a conquistare il castello della vita. Ho le scarpe troppo grandi, ma il mio cuore le ha di più, perché non ho paura del futuro
Adriano Pappalardo - Il bosco no
Era una forza della natura, spesso incontrollata e incontrollabile così che anche la sua voce pur volendo uscire con tutta l’energia possibile a volte si intasava gonfiandogli il collo taurino. Ma aveva il cuore e l’innocenza di un bambino, a volte mi sono chiesto se quel suo agitarsi quel suo gridare non nascondesse tutta la tenerezza che aveva. La sua era la voce che più amava Battisti, una voce potente e scomposta. Ricordo che uno dei pochi concerti a cui assistetti assieme a Lucio, Vanda e Maria Grazia, la moglie di Battisti, fu quello di James Brown al palazzo dello sport dentro la Fiera di Milano, doveva essere il 73 perché non era ancora nata Alice. Lucio che durante un altro concerto, così racconta mio fratello, aveva avuto il coraggio di andare sotto il palco di Carlos Santana per gridargli sei una pippa, di fronte al sound e alla voce di James Brown si alzò dalla sedia e cosa inaudita, si mise a ballare facendosi prendere dal ritmo.
Quando progettai questa immagine, avevo da poco visto un film strepitoso di Peter Brook "Il signore delle mosche" dove si teorizzava come l’indole umana possa di fronte a circostanze imprevedibili, riportare l’uomo al suo primordiale, alle sue paure ai suoi credi ancestrali perché per quanto la cultura, l’educazione cerchi di mascherare ciò che siamo, nella profondità del nostro essere riemerge l’uomo primitivo e Adriano con il suo entusiasmo la sua forza incarnava perfettamente l’uomo iniziale privo di infrastrutture.
sabato 7 gennaio 2012
I Dik Dik - Vendo casa
Pietruccio, mio fratello, con Lallo e Pepe, suoi amici d’infanzia, sono i fondatori e i componenti storici dei Dik Dik. All’inizio si chiamavano The Dreamers poi con la cantante Mirian Del Mare nota per una piccola partecipazione al festival di San Remo cambiarono il nome in Gli Squali per arrivare con il contratto alla Ricordi al nome i Dik Dik. Non avevo mai preso in considerazione il fatto di lavorare nel mondo dell’immagine fu a causa di un susseguirsi di strane combinazioni che mi portarono a scoprire un certo interesse, non tanto ed esclusivamente per la fotografia, non mi sono mai ritenuto un fotografo vero, ma ad un certo punto della mia vita mi era uscita la necessità di raccontare quello che provavo, quello che vedevo, utilizzando di volta in volta il mezzo che in quel momento trovavo più idoneo, la macchina fotografica, o la cinepresa o la penna. Per questo finito il militare decisi di prendermi un anno sabatico durante il quale cercai di capire meglio che cosa sarebbe stato di me. Andai a Londra e fui preso dal vortice di quella città dove stava nascendo un modo nuovo di vivere di agire di pensare. La fortuna, la sorte il destino volle che un giorno seduto su una panchina in un parco vicino a dove avevo preso assieme ad altri tre ragazzi una stanza,, mi si sedette a fianco un signore, accanto avevo la Nikon che mio fratello mi aveva prestato, montato aveva un grandangolo molto spinto, l’uomo avrà avuto una quarantina d’anni, mi chiese notizie di quel obiettivo voleva acquistarlo, ma lo trovava caro, era un fotografo polacco che si era trasferito a Londra per lavorare. Diventammo amici, mi presentò Romano Cagnoni un fotografo molto importante nel mondo del reportage, doveva stampare una serie di immagini che facevano parte del suo archivio per cui lavorai con lui per un po’ di tempo, poi incontrai Sam Haskey fino ad arrivare a Ragazzini un italo romano inglese che si era specializzato in copertine di dischi, e così iniziò. Tornato da Londra, i Dik Dik mi chiesero di fare una prima copertina, credo che fosse "Ninna nanna" ma non ne sono certo. Qualche tempo dopo è stata "Vendo casa". Fu la prima nella quale partecipò Vanda è lei che si vede sullo sfondo saltare nella pozzanghera e suo è il cartello con la scritta. Cercammo una casa diroccata per rappresentare meglio il senso di disagio, la trovammo in una zona periferica di Milano. Era una struttura di fronte al "Rosetum" un teatro famoso perché molti artisti diventati celebri come Modugno, lì avevano mosso i loro primi passi. Apparteneva ad un convento di francescani che ogni mezzo giorno aprivano le cucine a tutti coloro che erano in difficoltà.
Per ragioni semplicistiche si usava mettere il viso dell’artista sulla copertina, dare forza al culto della personalità al divismo a discapito della qualità del prodotto. Per uscire dallo stereotipo divistico, la ricerca che stavo portando avanti voleva raccontare, suggerire, evocare, il contenuto del disco, creare un’immagine che colpisca la fantasia dell’acquirente, incuriosendolo. L’uso del bianco e nero, sopperiva alla mancanza della tridimensionalità di una foto con la terza dimensione "l’anima".
L'uomo e il motorino - Primo capitolo A
I due giovani daini, correvano sulla riva del fiume, soffermandosi a guardare la propria immagine riflessa nella gelida acqua che precipitosa giungeva dai monti. Sereni, avevano acquietato il cuore ora che erano sfuggiti allo sguardo velenoso dell'animale che pensa e sta su due zampe.
venerdì 6 gennaio 2012
L'uomo e il motorino - Prologo
Chi può essere più eroe di colui che non rientrando nei canoni classici dell'eroe, vive una vita difficile menomato nel fisico e nel cuore?
Questo è il tema de "L'uomo e il motorino", il racconto di un "eroico nessuno" che avrà la sua occasione per dimostrare a sè stesso ed agli altri di essere qualcosa di speciale. A tutti, nessuno escluso, viene data questa occasione ma spesso non sappiamo neppure riconoscerla.
Il racconto ambientato nell'Italia del "boom" segue le vicende del protagonista che all'età di sessant'anni, pur essendo mutilato di una gamba, attraversa tutta l'Italia a cavallo di un piccolissimo motorino. Un viaggio che porterà l'anziano verso l'umanità straordinaria che da sempre ha caratterizzato questa terra, un viaggio nei sentimenti gioiosi, disperati, silenziosi, miracolosi. Un racconto commovente dove ognuno troverà parte della propria storia.
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