venerdì 27 dicembre 2013
Ivano Fossati - Good-bye Indiana
Ivano e Oscar sono stati tra i miei più cari amici, c’era una grande sintonia tra noi anche se i nostri desideri ci portavano verso strade diverse, d’altra parte l’amicizia vera è quella che non sempre vede condividere ogni cosa ma ne rispetta le scelte. Avevano avuto grande successo con il pezzo Jesahel dei due soprattutto Ivano che aveva portato il disco a San Remo con i Delirium, ma non era quello il suo percorso. Così sciolto il gruppo Ivano si trasferì a Milano per cercare una nuova via. La sera ci si incontrava con un caro amico, un artista straordinario ma sfortunato, Bertolazzi, che tutti noi chiamavamo Bertolbep, nonostante le difficoltà sapeva trovare sempre l’ottimismo in ogni cosa gli succedesse fu un grande maestro di vita. Abitava in un appartamento di un palazzo signorile pur non avendo da che pagare l’affitto. Noi lo andavamo a trovare spesso e non c’era volta che non ti accogliesse a braccia aperte. Oscar gli aveva regalato un registratore, un Geloso uno di quelli con i tasti colorati e le bobine in bella vista. Lui si divertiva a registrare qualsiasi suono come il battere di una lampadina sulla bombola del gas o i sibili della macchina del caffè, poi commentando il tutto con le sue espressioni claunesche, ci faceva divertire con la sua sana follia. La forza creativa di Beppe penso abbia segnato la vita mia di Oscar e Ivano. Nel trascorrere del tempo ci furono momenti in cui Bertolazzi si trovò in situazioni di così grave indigenza da non avere ne un posto dove vivere, lavorare e neppure i colori, la tela, i pennelli, eppure la fiamma che gli ardeva dentro lo portava a sedersi su una panchina nel parco e con una matita disegnare sui fogli di giornali che raccoglieva. Ma nessuno ne sapeva nulla, riusciva sempre a celare con delle scuse a cui noi volevamo credere, paura, vigliaccheria, egoismo? Avremmo dovuto aiutarlo, ma nessuno aveva il coraggio di farsi carico.
La foto che stava nel retro della copertina, fu scattata davanti ai vecchi uffici della Fonit Cetra a Mlano. Ivano in questo disco suonava tutti gli strumenti oltre ad aver composto la musica e i testi, e questa immagine ne è la semplificazione visiva.
lunedì 23 dicembre 2013
Oscar Prudente - Un essere umano
Quel che è di Cesare è di Cesare, in questo caso non sono io Cesare. E allora diamo a chi di dovere l’onore di aver ispirato l’idea. Oscar ed io, parlando davanti ad un bicchiere di buon vino in una di quelle bettole sui navigli di Milano, si vagheggiava, con un comune amico, su come sia difficile ascoltare i suoni che ci stanno attorno, non riusciamo mai ad isolarli e quando lo facciamo siamo messi in situazioni così difficili da perderne il senso. Gianni questo era il nome dell’amico disse che la cosa migliore era quello di mettere una cuffia ed inserire idealmente lo spinotto proprio tra un’onda e l’altra. Erano sicuramente i fumi dell’alcol a parlare, ma la cosa mi rimase impressa e il giorno dopo recandomi a Genova per fare delle foto a Oscar, costruii questa immagine. La sedia la trovammo abbandonata sulla battigia mentre la girandola la comprammo da un ambulante che passava in quel momento. L’idea era poi di intervenire con del colore sia sul mare come sulla girandola, ma il risultato non mi piaceva mi sembrava eccessivo, voluto, così rimase l’azzurro sopra l’ondeggiare del mare.
Per un problema di inquadratura spinsi la sedia sempre più vicina all’acqua, così quando un’onda si levò più invadente delle altre, ad Oscar non rimase che afferrare la sedia e scappare, scattai al volo. Quando venne il momento di impostare graficamente la copertina, l’immagine di Oscar che rompendo la sacralità scappava con la sedia tra le mani, mi sembrò perfetta per dare al tutto quel senso di auto-ironia necessario.
martedì 17 dicembre 2013
L'uomo e il motorino - Decimo capitolo A
giovedì 12 dicembre 2013
Lucio Battisti - Umanamente uomo: il sogno
L’ingenuità e la mancanza di esperienza unita anche a uno buona dose di cialtroneria, erano gli ingredienti con i quali affrontavamo il nostro lavoro. Si partiva da un’idea senza scendere nei dettagli da lì si proseguiva per arrivare alla costruzione di tutta l’operazione. Volevamo riuscire a creare il clima per una cerimonia tribale dove il fuoco fosse il simbolo del cambiamento. Trovato il luogo dove scattare, ci si dette appuntamento tutti quanti. Caricammo un camioncino di mobili vecchi da buttare, non ho mai saputo da dove arrivasse tutta quella roba, avevo dato incarico ad un conoscente uno che si arrangiava diciamo così e non volle nulla tranne un paio di pasti nella trattoria dei miei suoceri. Si giunse verso mezzo pomeriggio in una radura nella campagna della Brianza, si scaricò ogni cosa ci si preparò per bene e senza perdere troppo tempo si accese il fuoco. Nessuno immaginava che le fiamme si alzassero così tanto da mettere in allerta i contadini che stavano nei campi vicini e i pompieri del paese. Intanto io cercavo di scattare, ma il calore era così forte che nessuno riusciva ad avvicinarsi così dovetti allargare l’inquadratura togliendo grinta all’immagine. Mentre cercavo di convincere tutti a stare più vicini, arrivarono muniti di forconi e grandi teli un gruppo di contadini seguiti appresso da una macchina dei pompieri. Fummo presi a male parole occorreva chiedere il permesso alle autorità e al proprietario del terreno, ed avere inoltre la presenza di un nucleo di vigili del fuoco.
Per fortuna Lucio era del posto, molti lo riconobbero e dopo una romanzina con cazziata finale ci lasciarono terminare, anche se ormai la fiamma era diventata così leggera da sembrare un fuocherello per barbecue.
martedì 10 dicembre 2013
L'uomo e il motorino - Nono capitolo B
Il falco volava alto sopra le cime del mondo quando vide laggiù, tra la pineta di Rochester, correre il tempo che fragile e fuggevole si nascondeva in quella boscaglia. E allora il rapace alzò le ali al vento e, trattenuto tutto il fiato dell'universo, si buttò a capofitto. Sembrava un fulmine e più scendeva, più il tempo cresceva che fermo restava, ma quando il falco arrivò lì a terra, gli occhi si spezzò perché già il tempo era passato e con lui la speranza.
domenica 8 dicembre 2013
L'uomo e il motorino - Nono capitolo A
sabato 7 dicembre 2013
Cervello - Melos
Mi sembrava divertente paragonare il cervello con una scatola di pelati che avesse nel retro una parete di piselli.
All’inizio della mia professione avevo fatto un reportage nella casa di riposo ”Giuseppe Verdi”. Ero entrato con uno stratagemma spacciandomi per un reporter di una rivista tedesca. Scelsi l’ora di pranzo perché era quello il momento conviviale più interessante, gli artisti passando dalla malinconia all’eccitazione ricordavano i trionfi e le sconfitte come se fossero accaduti il giorno prima, poteva succedere anche che senza un motivo scattasse la lite per dispute vecchie di trent’anni. Con una di quelle foto Vanda fece uno dei suoi primi collage che misi come etichetta della scatola di pelati, L’etichetta era movibile così da mostrare su un lato la riproduzione di un quadro di Vanda sull’altro la foto del gruppo i cui componenti erano avvolti nel domopak, come un qualsiasi prodotto alimentare.
martedì 3 dicembre 2013
L'uomo e il motorino - Ottavo capitolo B
Il cavaliere, quando vinse il torneo, timido, rifuggì gli onori e le glorie. Tenera e soave l’attendeva inutilmente la dama i cui colori difese. Ma stava nella sua tenda, lasciando fuori le lance, le scuri, gli ornamenti tutti e il suo scudiero pure. Trabocca la sua gioia e piange e ride e abbraccia se stesso e il vento che lo circonda. Domani uscirà e forse un altro torneo perderà.
domenica 1 dicembre 2013
L'uomo e il motorino - Ottavo capitolo A
sabato 30 novembre 2013
Sergio Endrigo - La voce dell'uomo
Per fare queste immagini mi avvalevo di amici che gratuitamente si prestavano a subire supplizi di ogni genere. Chiamai il mio amico d’infanzia Maurizio Zacchetti, giornalista da sempre, gli feci indossare i miei jeans a salopette e dopo averlo ben legato lo fotografai. Certo per un cantautore cortese e sussurrante come Endrigo sembrava essere molto forte, ma l’uomo era invece più deciso di quello che uno si aspettasse. Suo malgrado era incatenato (guarda caso) ad uno stereotipo che non gli rendeva giustizia. I testi stessi avevano una lettura molto più profonda, non bisogna dimenticare che per lui scrissero poeti di altissimo livello. E’ stato un grande autore e meriterebbe più considerazione.
martedì 26 novembre 2013
Drupi - Provincia
Trovo che il Ticino sia un fiume così straordinario da essere capace di meravigliarti. La sua natura a volte selvaggia a volte armoniosa ti comunica una grande pace. Drupi da buon pavese, aveva una barca da fiume di quelle in ferro dalla chiglia piatta. Quel suo viso accattivante da indiano ben si sposava con quell’ambiente. Certo nessuno direbbe che queste foto furono scattate a pochi chilometri da Milano, ma facendo questo mestiere mi è capitato spesso di scoprire luoghi sconosciuti collocati in posti impensabili e a poca distanza dal nostro vivere quotidiano.
Quest'immagine di Drupi sulla barca in bianco e nero è una di quelle che più mi ha dato soddisfazione, mi piace vedere le nuvole riflesse nell’acqua e mi piace questa compostezza grafica. Quando la stampai divenni matto per riuscire a rendere il viso riconoscibile e nel contempo mettere in risalto i cerchi nel fiume dovuti allo sgocciolare del remo, c’è però una cosa che non sono riuscito a valorizzare, il cane lupo che sta aggomitolato alle spalle di Drupi. Sarebbe dovuto stare seduto mostrandosi in tutta la sua fierezza e non mogio e assonnato, così sembra più un giaccone o una sacca qualsiasi, che un cane.
domenica 24 novembre 2013
Massimo Bubola - Nastro giallo
Poeta e scrittore straordinario lo conobbi a Roma. Eravamo ospiti di Fabrizio e Dori, nel periodo di Rimini, Massimo era un entusiasta e l’adorazione per Fabrizio era palpabile. Una sera andammo a cena a Trastevere, Fabrizio Dori Massimo e ci raggiunse Francesco De Gregori. Seduti sotto un cielo stellato stavamo trascorrendo la serata serenamente quando non so cosa passò per la testa, Francesco prima scherzosamente poi duramente incominciò una provocazione demenziale accusandomi di avere interrotto il suo spettacolo al Palalido di Milano. Si riferiva a quella storia infausta quando venne preso d’assalto il palco per processare Francesco di fronte ad una folla scalmanata. All’inizio pensai che stesse scherzando, ma Francesco insisteva provocandomi con frasi del tipo “ Quanto vuoi per permettermi di suonare a Milano?”. Rimasi in silenzio ascoltando gli sproloqui di Francesco, non capendone la ragione, nell’ambiente tutti sapevano che non andavo mai ai concerti se non in casi rarissimi e quella sera non sapevo neanche che era a Milano. Fabrizio cogliendo l’imbarazzo si inserì e la cosa ritornò nei ranghi. Qualche mese più tardi ero al cinema al Dal Verme a Milano con Vanda e mi trovai seduto a fianco di Gigi Noia direttore artistico della Cramps, e siccome stavo chiedendo un po’ a tutti notizie su quegli eventi, mi raccontò come si erano svolti i fatti, perchè lui invece c’era. La tensione era salita causa il prezzo del biglietto troppo alto, un gruppo una decina, (si scopri poi mandati da un impresario concorrente), saltò sul palco per sottoporre Francesco ad un processo pubblico, lo ritenevano colpevole di aver lucrato sulle spalle dei giovani. Francesco spaventato era corso a rifugiarsi nei camerini, ma nel corridoio incontrò proprio Gigi ed è qui che stava l’inghippo, che in effetti un po’ mi assomigliava, lo prese e lo convinse a ritornare in scena o sarebbe scoppiato un pandemonio. Francesco suo malgrado, ritornò sul palco e subì una tremenda umiliazione. Va detto che quelli erano tempi strani come strani erano i comportamenti, assurdi da parte del pubblico a pretendere dai musicisti scelte estreme, ma strani anche da parte degli artisti che ci marciavano alzando bandiere che forse non gli appartenevano.
L ’immagine che stava sulla parte esterna della copertina, non incontrò mai i favori di Massimo e non perché non gli piacesse tutt’altro, la ragione stava in quella scure bipenne, simbolo che veniva usata sui manifesti dei movimenti ultra della destra veronese. Dopo varie insistenze, non ne capivo la ragione, Bubola a fatica mi confidò che alcuni anni prima aveva perso un fratello amatissimo picchiato a sangue proprio da quei gruppi che nei loro simboli avevano la scura bipenne. Avrei voluto immediatamente rifare tutto, ma ormai era non solo in stampa ma in distribuzione.
giovedì 21 novembre 2013
L'uomo e il motorino - Settimo capitolo B
La terra arata di fresco ringraziò il cielo per la pioggia. Ma la pioggia divenne un fiume e il fiume divenne un lago e allora i pesci che vi nuotavano ringraziarono la terra perché aveva accolto quel lago. Ma il lago sprofondò e i pesci scomparvero nella terra bruciata dal sole, ma la terra di nuovo fu arata e di nuovo fu bagnata.
Giovane contadino, non temere l’inquietudine della vita, perché tua sarà la vittoria.
domenica 17 novembre 2013
Pino Daniele (album)
Pino era un ragazzone che a denti stretti parlava un dialetto misto all’italiano, era difficile capire cosa dicesse, sembrava che bisbigliasse con quel tono un po’ afono. Mi piaceva l’idea di costruire un’immagine che rappresentasse la ciclicità della vita. Il giochino stava nell’aggiungere alla base l’orario delle quattro immagini, immagini in ordine di tempo, solo la prima e la quarta hanno il medesimo orario pur non essendo la stessa. E’ la teoria dei corsi e ricorsi storici le cose si ripetono continuamente, ma come specifica Francesco Guicciardini, nel ripetersi le cose mutano leggermente anche se tutto cambia per rimanere uguale così citava nel Gattopardo il principe di Salina.
Feci la foto nel bagno dell’albergo dove era alloggiato, un hotel sotto la Galleria del Corso. In quella Galleria era passata la storia della musica italiana e prima ancora il varietà, la rivista. Ai tavoli dei bar potevi vedere Battisti e Mogol, Modugno e Vaime, Dario Fo e Franca Rame, la Vanoni e la Mina, Giorgio Gaber e Celentano, Jannacci e Cochi e Renato, lì sotto nascevano le compagnie, i gruppi, c’erano le case discografiche più importanti tra le quali la Numero Uno, tutte le edizioni, insomma il mondo musicale.
Mi piaceva anche poter rompere gli schemi, mettere in discussione ciò che nel fronte copertina avevo teorizzato. Lo scorrere dell’acqua a simboleggiare il tempo che trascorre, il lavandino che si riempie a significare che le cose non sono sempre uguali, ma per dare forza a tutto ciò occorreva un gesto imprevedibile non programmabile, così l’uomo si alza ed esce di scena, cambiando il percorso prestabilito, affermando quello che i cristiani chiamano, libero arbitrio.
mercoledì 13 novembre 2013
L'uomo e il motorino - Settimo capitolo A
Il vento soffiava forte, costringendo il navigante a chiudere le sue vele. Ma il mare era liscio e piatto come uno specchio d’argento. Gettò l’ancora ma la cima non raggiungeva mai il fondo e la barca continuò a veleggiare fino a raggiungere i confini dell’universo. Pregò allora il marinaio, che il signore dei venti e dei flutti, lo riaccogliesse sulla Terra, ma già aveva pregato perché lo portasse lassù nel cielo, e quella notte, una era la preghiera che si potesse ascoltare.
Mai si avvide colui che ha, perché di più vuole avere.
domenica 10 novembre 2013
Banco del Mutuo Soccorso - Io sono nato libero
Dopo il successo del libretto che avevo fatto per il disco di Branduardi, i discografici incominciarono a capire che la qualità della confezione ed il suo contenuto aiutavano le vendite oltre ad identificare il carattere del disco e del suo autore. Così per questa uscita produssi una copertina con più fogli sagomati sulla forma fotografata, ognuno dei quali dedicati ad un testo.
Trovai questo portone sui navigli accanto al Vicolo dei Lavandai. Il giorno dello scatto, agendo con spregiudicata incoscienza, arrivai sul posto assieme al gruppo senza chiedere nessuna autorizzazione, l’unica cosa che feci avvertii il proprietario dell’officina che stava dentro al cortile che avrei chiuso all’occorrenza il portone, ma non se ne dette cruccio alcuno. Oggi una cosa simile sarebbe impossibile, per ragioni di ordine pubblico e a causa delle norme che regolano l’occupazione del suolo pubblico. Era una casa di ringhiera per buona parte disabitata per cui agii senza troppi problemi, per tutto il tempo che siamo rimasti, non uscì nessuno tranne un paio di vetture, non solo ma per scattare fermai più volte il traffico. Il portone erano anni che non veniva chiuso per cui non si riusciva ad accostarlo perfettamente, ma la cosa non mi disturbò, l’immagine risultò più vera. Gli occhi che s’intravvedono sulla parte alta sono quelli di Francesco.
La strada correva a fianco del naviglio e per ragioni d’inquadratura dovetti mettermi con la macchina fotografica oltre la protezione che stava tra lo scorrere del fiume e la strada, bastava che facessi solo un minimo movimento ed ero in acqua.
Ci sono delle sottigliezze in questa immagine che non sono percepibili, le figure dei componenti del gruppo sono così piccole che difficilmente le riconosci così come lo sguardo in sovrapposizione è tale da non essere visibile, ingenuità.
Il musicista che guarda di soppiatto dietro il portone è Marcello Todaro, poco tempo fa mi ha scritto su facebook. Ora vive a San Diego negli Stati Uniti, ha un’azienda e ricorda quei momenti come tra i più straordinari della sua vita.
In questa immagine la ruota che salta ha fatto una brutta fine, dopo che abbiamo rifatto almeno una decina di volte lo scatto, la ruota ha deciso che era venuto il momento di andarsene e così saltellando, ha attraversato la strada e si è lanciata nel naviglio. Il fatto è che era la ruota di scorta della volvo del mio aiuto Francios Vallotton. L’abbiamo vista galleggiare per un po e poi inabissarsi poco più avanti. Avevamo finito di scattare.
Questa con la prima di copertina è l’immagine più significativa, esprime a pieno ciò che volevo dire. Lo sconcerto è che dopo più di trentacinque anni rimane odierna. Grande è la fatica a cambiare, prendere strade nuove è lacerante, lasciare il certo per l’incerto, anche se questo certo è simbolo di disperazione.
venerdì 8 novembre 2013
L'uomo e il motorino - Sesto capitolo B
Dalla cima del colle, il principe guardava il bosco. Illuminato da un cielo limpido vedeva le macchie verdi stagliarsi sulla terra bruna. E allora scese sicuro verso il mare.
Ma il sole, tra gli alberi confuse la via. Inseguito dai raggi, la paura il cuore gli prese. Correva tra i cipressi e il falco lo derise.
Lanciò allora una freccia per rompere il silenzio che lo circondava, ma il mare mai non vide.
martedì 5 novembre 2013
Parco Lambro
Per scrivere questa storia non basterebbero cento pagine, comunque per non annoiare cercherò di essere sintetico, iniziamo con l’elencare i nomi di coloro che sono stati i protagonisti: Nanni Ricordi, nel cognome c’è la storia della musica italiana, Tony Casetta proprietario della Produttori Associati, delle sale d’incisione Stones Castle Studios a Carimate, non che produttore di De Andrè, degli Alunni Del Sole, di Santo & Jonny, di Casadei ed editore della colonna sonora di Apocalipse Now e di molti altri grandi successi mondiali, Andrea Valcarenghi ideatore e fondatore del mensile “Re Nudo”, poi c’eravamo noi i peones Gianfranco Manfredi ed io.
Gianfranco era uno studioso raffinatissimo, assistente di un grande della filosofia, il professor Dal Pra e lui stesso futuro cattedratico alla Statale, ma non gli interessava quella carriera perché preferiva scrivere romanzi e cantare le sue canzoni. Per quanto mi riguardava
non mi sono mai considerato un professionista di quelli pronti a soddisfare le esigenze del cliente, non era un caso di sciatteria, o di disaffezione, era semplicemente che non ne ero capace, non ero capace a fare cose che non sentivo mie, più volte ho provato ma con scarsi risultati. Nel corso degli anni ho semplicemente perseguito una strada di cui ero convinto un percorso che mi rappresentasse.
Era da poco nata la “Produzioni Autonome” società che Nanni aveva fondato per gestire uno spazio dai molti usi con Dario Fo, Giorgio Gaber e Jannacci, ma per svariate ragioni non successe nulla per cui nacque assieme a Gianfranco Manfredi e Riky Gianco, l’"Ultima Spiaggia". Il primo disco manifesto di fondazione fu il “Disco dell’Angoscia” un’opera musical-letteraria. Contemporaneamente il gruppo che faceva capo a Nanni aveva lasciato “Rosso” per approdare a “Re Nudo”. Andrea voleva portare il giornale da una distribuzione militante ad una che coprisse per intero il territorio nazionale, voleva dare una svolta al mensile. Visto che l’intera struttura de l’Ultima Spiaggia di cui facevo parte, lavorava anche per la rivista, mi fu chiesto di creare una nuova veste grafica. Non ricordo la ragione per cui impostammo il giornale stando dentro la camera oscura, forse perché ci sentivamo dei cospiratori o dei cialtroni, ma fu divertentissimo. Ne uscirono i primi tre numeri; sulla copertina del primo c’era un superman (che per ragioni economiche e di autorizzazioni aveva il mio volto) su una sedia a rotelle con il segno della rosa sul petto, ai suoi piedi un uomo al quale una bambina, Alice, gli sta mozzando il capo. Il giornale arrivò con la prima uscita a settantamila copie, una quantità notevole, purtroppo le spese di stampa e la percentuale che richiedeva il distributore era tale da mandare i conti sempre in rosso. Dopo vari mesi ottenni un rimborso spese di centoventimila lire. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri, Andrea, Gianfranco ed io ci spartimmo quegli unici soldi stando in piedi nello spazio tra l’Arena e il bar dell’Atm.
A Carimate nel castello, un falso dei primi del novecento, per volere del mitico Tony Casetta, nasceva la Stones Castle Studios. Le sale di registrazioni costruite su brevetto californiano, avevano già avuto l’adesione dei gruppi rock più importanti dagli Yes ai Pink Floyd. Casetta era un industriale con un’apertura mentale non comune, un visionario anfitrione di De Andrè come di Casadei, un uomo curioso privo di infrastrutture mentali e con grandi passioni, amante del bello come del non convenzionale. Aveva una casa costruita sulle sculture di Ceroli, dalla porta a forma di cerchio alle pareti trasparenti che dividevano l’interno dal giardino, amava l’arte tribale africana e le opere di Kristò. Un giorno lo invitai ad assistere ad uno spettacolo al CRT quando la sede stava in Piazza Abbiategrasso. Credo che fosse la prima volta che il Living Theatre si esibisse a Milano, e quella non era certo una performance dai canoni classici, provocazioni e coinvolgimento del pubblico erano i punti forti del gruppo, ma Casetta sorprendendomi ne prese parte senza scomporsi. Alla fine dalla sua Bentley verde bottiglia mi salutò ringraziandomi, un uomo tale non avrebbe mai avuto problemi nel conoscere Andrea Valcarenghi. Fu simpatia immediata non solo con Andrea ma anche con Gianfranco. Dopo una serie di incontri come primo intervento si decise di fondare una radio con il nome della rivista e di collocarla nella torre che stava sulle mura di cinta del castello. Il mensile aveva la necessità di essere presente con più assiduità, comunicare le iniziative, gli spettacoli, dialogare con i lettori, lanciare delle iniziative sociali e politiche, il progetto inoltre avrebbe conglobato al suo interno anche una etichetta discografia “ Il Laboratorio”.
Ogni anno il giornale per finanziarsi organizzava un festival, l’entrata era gratuita ed il guadagno veniva dalle attività: vendita di oggetti, bar, ristoro tutto al fine di rimettere a posto i conti. Fu allora che si pensò di produrre sotto l’etichetta “Laboratorio” la registrazione del concerto.
La manifestazione che durò tre giorni al parco Lambro con entrata libera, contò una cifra attorno le due trecentomila persone, ma una contestazione molto dura ebbe un epilogo drammatico, gruppi di forsennati presero d’assalto il palco; la causa erano i prezzi praticati per i prodotti venduti all’interno, non ci fu ragione per quanto Andrea cercasse di spiegare che alla rivista per sopravvivere occorrevano dei fondi, questi con la stessa incapacità di accettare o meno un artista costrinsero gli organizzatori a chiudere quella esperienza, che non si sarebbe più ripetuta, terminava con questo atto inconsulto un epoca, si sanciva così la fine di un movimento libertario per trasformarsi in qualcosa di più drammatico.
Credo che esista una registrazione completa dei tre giorni sia per quanto riguarda la musica che i dibattiti compreso di contestazione. Da quello Gianfranco ne ricavò un disco di un’ora circa. La copertina fu un progetto di Vanda che rielaborando un quadro di Bruegel, aveva introdotto degli elementi che si rifacevano alla protesta alimentare. Rimane ancora l’immagine dell’etichetta dove si vede un dettaglio di gambe con grembiule tenere vicino a se una scopa di saggina, Vanda che ne era la modella, la riutilizzò per la società che successivamente fece assieme a Romano Gregorig e Milvo Ferrara.
venerdì 1 novembre 2013
Lucio Battisti - la batteria, il contrabbasso, eccetera
Incominciavo a lasciare il mondo della musica italiana anche perché lei lasciava me, la situazione della Numero Uno era cambiata, completamente assorbita dalla RCA era ora una semplice emanazione milanese della grande multinazionale americana. I pilastri che avevano fatto grande questa etichetta si erano dispersi in altre case discografiche comunque l’accoppiata Battisti Mogol funzionava ancora, ma qualcosa tra loro stava cambiando, forse stanchezza forse ognuno pensava di essere indispensabile all’altro e che senza di lui non avrebbe potuto fare nulla, ma c’era anche il desiderio di provare nuove esperienze. La cosa preoccupava la RCA, ora a capo dell’etichetta di Lucio e Giulio, l’azionista di riferimento aveva messo un uomo saggio e dedito più ai conti che alla creatività, il ragionier Coni aveva comunque una dote notevole, sapeva del suo e non interferiva in ciò che non conosceva, ugualmente sapeva parlare alla gente con sincerità. Mi ero allontanato anch’io dal gruppo, non c’era stata una ragione precisa, forse stanchezza, poco entusiasmo. Coni mi venne a cercare affinché lavorassi al nuovo progetto di Lucio, accettai senza grande entusiasmo, ma poi ascoltandolo in sala incominciai a sentire che in lui c’era ancora grande forza. Non avevo più voglia di costruire un’immagine che avesse una logica un contenuto e in fondo anche Lucio voleva qualcosa che fosse più fisico, più musicale e meno mentale. Lucio era un istintivo, e amava misurarsi con la materia, gli piaceva usare le mani. Si era costruita una piccola falegnameria a fianco casa dove suonava così ogni tanto tra uno strimpellare e l’altro maneggiava seghe viti chiavi inglesi martelli, bulloni di tutto, costruendo oggetti in legno o riparando le cose più disparate.
Per facilitare la cosa lo raggiunsi con Vanda al Mulino dove stava registrando, andai in perlustrazione e trovai lì vicino in mezzo alla boscaglia una strada sterrata, quello era il luogo adatto. Si decise per il giorno dopo, la sera prima aveva piovuto ed era tutto una pozzanghera, il che rendeva la cosa più interessante ma si stava prosciugando per il sole che si era alzato. Trovai una canna abbastanza lunga per poter annaffiare la strada rafforzando così le pozze. Lucio si era preparato e conoscendomi si era messo sotto i vestiti una muta, sapeva che la giornata sarebbe stata lunga e molto bagnata. Incominciai a scattare ma gli spruzzi non si alzavano abbastanza, decisi allora di rafforzare lanciando dei sassi, eravamo degli incoscienti io per primo e lui dietro, ad un certo punto fece uno scivolone arrivando con la testa a pochi centimetri da un masso enorme, si rialzò come se niente fosse e riprese. Di scivoloni ne fece altri ancora, alcuni più rovinosi ma ogni volta si tirava su dicendo “Ao cio er fisico”.
Il giorno dopo gli telefonai per dirgli che le foto andavano bene, mi rispose MariaGrazia perché era a letto con la febbre alta.
Uscito il disco l’ufficio stampa mi contattò perché dovevo incontrare la troupe di “Odeon”. Era un settimanale televisivo di costume, di politica, di mercato, di tutto un po’ e in ogni puntata riservavano uno spazio ad una canzone di nuova uscita, erano i primi video-clip. Volevano farne uno su Battisti e siccome Lucio bontà sua si fidava solo di me, pretese che fossi presente e partecipassi alla sceneggiatura. Incontrai il regista Ruggero Miti un ragazzo simpaticissimo, ricostruimmo la storia della copertina. Tutto fu girato in una mattina, poi al pomeriggio si girò un altro video con Lucio che andava in bicicletta, ma non ricordo il titolo del pezzo. Dopo anni rivedendo quel lavoro trovai la qualità scadente sia come fotografia che come sceneggiatura. Non si può girare nel tempo di una mezza giornata, un filmato da quattro minuti, è sicuramente un documento storico, ma dal livello discutibile. Lucio avrebbe meritato di meglio.
martedì 29 ottobre 2013
La memoria della pietra - Levigliani
Siamo all’inizio degli anni 50, il paese è una frazione di Stazzema località dove anni prima una
terribile strage da parte delle SS, fece ben 500 vittime tra vecchi donne e bambini trucidati senza pietà dentro una chiesa. Da poco la comunità di Levigliani è riuscita a ritornare in possesso della montagna di loro proprietà ottenuta alla fine del settecento da Leopoldo di Toscana. Vorrebbero attivarvi in cima una cava di marmo, ma le difficoltà sono enormi. Il paese si trova a 600 metri mentre il luogo di estrazione è a 1600, non esiste una strada per raggiungere la vetta ed in cima mancano acqua e energia elettrica. La comunità è fatta di gente povera che lavora in altre cave, ma sopravvissuta alla guerra, agli eccidi e alla fame non poteva spaventarsi difronte a qualsiasi difficoltà.
La prima cosa fu quella di recuperare una vecchia teleferica in disuso acquistandola a credito.
Approfittando dei sabati e delle domeniche il paese intero donne e bimbi compresi, salendo per una mulattiera si trascinarono su per la salita, le funi le arcate i piloni per piantare la funivia che portasse il materiale da 1600 metri ai 600 del paese, c’erano pezzi che non potevano essere smontati e potevano arrivare a pesare fino a 250 chili. Quando fu impiantata visto la precarietà venne utilizzata solo per portare gli strumenti. Ogni notte gli uomini che lavoravano in cima al Corchia dovevano arrampicarsi marciando per due ore con il rischio di cadere. Ma grazie alla teleferica poterono portare un generatore, per l’energia elettrica, scavare una piscina per l’acqua piovana. Passarono due anni durante i quali coloro che lavoravano in cima al monte venivano pagati con la metà dello stipendio di quelli che invece continuavano in altre cave. Ma a questa lotta partecipavano anche i commercianti del paese facendo credito fiduciosi che poi tutti avrebbero avuto il giusto. Finalmente il primo pezzo fu estratto, ora però doveva essere portato a valle. Ancora una volta la comunità si mosse all’unisono, bisognava costruire una via, la lizza che non era altro che una traccia scoscesa ripida. Ma la montagna presentava un dirupo insormontabile per cui per passare si doveva scavare una galleria. Con picconi e l’aiuto dell’intero villaggio fu fatto un buco di settanta metri. Ogni giorno festivo ognuno saliva a dare una mano e alla fine tutto era pronto. Nessuno dei paesi vicini avrebbe scommesso sul successo. Ci misero tre giorni per portare a valle con l’ausilio di corde e braccia forti il marmo del peso di circa 30 tonnellate. Quando arrivò in paese fu una grande festa, era iniziata una nuova era per il villaggio.
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